Comunicato del 23 agosto 2004
Egregio Presidente Berlusconi, migliaia di messaggi e segnalazioni giunti alla nostra Associazione da parte di italiani ed ebrei espulsi dalla Libia e dalle altre categorie nazionali penalizzate e tuttora creditrici di quel regime testimoniano un vivo allarme per la Sua annunciata, terza visita al leader di quel Paese, dato il fallimento politico delle due precedenti. Lei stesso, al ritorno dalla seconda visita, ebbe infatti ad ammettere che lo sviluppo del processo di normalizzazione bilaterale si era bloccato per l’assurda pretesa di Gheddafi di ricevere in regalo dall’Italia addirittura una strada costiera di 2 mila chilometri.
Rispetto ad allora, nulla di nuovo e di credibile risulta emerso nei canali diplomatici bilaterali, ad eccezione dell’ennesimo e ancora non verificato impegno libico di aderire fattivamente alla lotta contro il traffico di emigrati. E’ legittimo e doveroso chiederLe su quali concreti preparativi e affidamenti si fondi questo Suo nuovo viaggio in Libia ad alto rischio politico per l’immagine e gli interessi nazionali e su quale base fiduciaria e in vista di quali possibili sviluppi, il capo del governo di uno Stato democratico del rango dell’Italia ritenga per la terza volta di andare a rendere omaggio al leader libico, riammesso da poco tempo e fra molte incertezze nell’area della legalità internazionale, dopo i ben noti precedenti.
E soprattutto si vorrebbe capire perché mai il Presidente del consiglio continui ad assumere in discussione la falsa cambiale dei pretesi danni della colonizzazione italiana, continuando nel frattempo a ignorare il pesante credito delle confische dei beni italiani e rinviando sine die il saldo indennizzi da lui stesso promesso alla nostra Associazione di rimpatriati dalla Libia. C’è un legame tra queste posizioni? E’ forse Gheddafi che gli ha suggerito di dirottare anche i magri fondi che ci spettano a favore della faraonica strada che pretende? Faccia finalmente chiarezza il Cavalier Berlusconi, dalla sua posizione di leader tra i grandi della Terra: 1) ammetta che Gheddafi nel 1970 confiscò i nostri beni quali “acconto” sui danni rivendicati della Libia, secondo la logica della “riparazione storica” che lo stesso Berlusconi alla fine sembra disposto ad accettare; 2) o invece riconosca che quelle confische furono solo l’ignobile spoliazione di 20 mila lavoratori, donne vecchi e bambini incolpevoli e indifesi. E in entrambi i casi il Cavaliere ci dica se tocca alla Libia di indennizzare la perdita dei nostri beni, e allora il governo italiano trovi i mezzi per convincerla a compiere quest’obbligo; oppure se, come è sempre stato detto dai nostri governi, l’onere del risarcimento spetti allo Stato Italiano, e si provveda quindi senza ulteriori rinvii al saldo degli indennizzi (per inciso, inferiori a un ventesimo del costo della strada). Su tutto ciò chiediamo al Presidente del consiglio un chiarimento definitivo, in mancanza del quale, dopo la presente formale diffida, ci rivolgeremo alle corti di giustizia internazionali.
La conclusione più immorale e autolesionistica di questa vicenda sarebbe infatti di continuare a subire i vecchi e nuovi ricatti di Tripoli, come in ultimo la minacciata invasione dal mare; di concedere alla Libia la revoca sull’embargo sulle armi, ritenute necessarie per la lotta ai traffici criminali; di assumere per giunta impegni pericolosi e non revocabili a favore della strada pretesa da Gheddafi. E, quale contrappeso di tutto ciò, cancellare de facto con sottile cinismo i diritti degli italiani esuli di Libia, archiviando la tragedia del 1970 come un fatale epilogo della colonizzazione. E’ questa la politica di Berlusconi nella vertenza italo-libica? Se è questa, non è la migliore per entrare nella Storia.