ED È PROPRIO in questo quotidiano che si è creato questo nuovo dramma. Un weekend passato nella vicina Tunisia, un po’ di relax per ricaricarsi in vista di una nuova settimana di lavoro. E sulla strada del ritorno la cattura. L’autostrada che collega la Tunisia a Tripoli non è più sicura dai tempi di Gheddafi. Troppe milizie presenti. Troppi interessi per uno snodo fondamentale di merci, uomini e risorse. E nessuno in grado di controllarla. In questo modo, quella strada – e quel confine da cui parte – è divenuta una delle arterie principali lungo cui i traffici dal Sahel al Nord Africa si snodano. Un corridoio da cui sono passati parte dei jihadisti tunisini che poi sono andati ad addestrarsi a Derna e che sempre di più fa capire come l’instabilità in quella regione sia e sempre sarà un fenomeno osmotico. Quella stessa strada lungo cui dei lavoratori italiani tornavano da un fine settimana di svago.
CHE LA SITUAZIONE in Libia fosse complicata lo sapevamo bene da quando la nostra ambasciata a Tripoli ha dovuto chiudere a causa della mancanza delle condizioni di sicurezza per continuare a lavorare. Le attenzioni si sono fatte sempre più forti verso la ricerca di un piano di stabilizzazione del Paese, così importante per gli interessi italiani e della Ue. Poi, però, il ‘file Libia’ è rimasto impantano nelle diatribe politiche sull’immigrazione clandestina nel nostro Paese, sui terroristi che inspiegabilmente devono salire su un barcone per entrare in Europa e sulla possibile necessità di un’operazione militare per fermare tutto questo. Il rapimento di quattro nostri concittadini riporta all’attenzione tutte le sfaccettature di cui è fatta la Libia. L’universo delle tribù, trasformatosi in costellazioni di milizie che cercano di imporre potentati locali, ben due governi che non si parlano e non vogliono negoziare un compromesso con l’Onu, gruppi salafiti più o meno legati all’Isis. E in questo macrocosmo ci sono ancora dei lavoratori italiani, che nel loro piccolo portano avanti gli interessi del nostro Paese, ancora presente in Libia attraverso una fitta rete di piccoli e medi imprenditori e, soprattutto, con il gigante Eni.