Riporto il racconto di mio padre, Antonino Corigliano, ufficiale dell’Esercito italiano, al suo arrivo a Bengasi, in Libia (1939): «Prima furono i minareti, la moschea, la cattedrale e poi le palme. A mano a mano che ci si avvicinava apparivano le prime case, poi le altre, e altre ancora. Infine tutta la città circondata da palme. Uno spettacolo meraviglioso davvero, spettacolo che mai si era presentato alla mia vista e di cui ne assaporavo tutta la bellezza. Si giunse, così, dopo una traversata meravigliosa, al porto. Molte barchette ci vennero incontro, erano persone che attendevano l’arrivo di congiunti, ufficiali che attendevano le famiglie e così via. Ultimate le operazioni di attracco, ci affrettammo a scendere, mentre gli arabi si prodigavano nel trasporto dei bagagli verso il posto di dogana. Ultimate anche queste operazioni, mi avviai in cerca di un albergo, cosa molto difficile per il continuo afflusso di gente. Ecco Bengasi, mi trovavo così sulla quarta sponda (fu Italo Balbo a chiamare quarta sponda dell’Italia la Cirenaica e la Tripolitania dopo le altre sponde italiane :la tirrenica, l’adriatica, la jonica). Un nuovo lembo della Madre patria dove dovevo prestare il mio servizio. Trovato un alberghetto di secondo ordine, ci riunimmo in quattro ufficiali, assegnati allo stesso reggimento. Il 157° Reggimento, gloriosissimo, che si era guadagnato, con molto spargimento di sangue, la medaglia d’oro nelle aspre balze del Carso. Indossata la grande uniforme, uscimmo, conoscemmo il comandante, il colonnello Paolo Angioy. Quel giorno Bengasi era in festa: grandi bandiere sventolavano da tutte le finestre e noi sfilammo, in festa, dinnanzi alle autorità e al popolo che non si stancava di applaudire…. Alla sera del giorno dopo, un grande ricevimento trovò noi ufficiali, riuniti nel magnifico salone del circolo, e i canti e i suoni, uniti alle danze, si protrassero sino a ora inoltrata. Ebbi l’occasione di conoscere molte persone e soprattutto l’aristocrazia di Bengasi, che con molto lusso era convenuta alla festa…. L’estate era cominciata e il caldo era forte, in città c’erano grandi e lussuosi alberghi, ritrovi vari e di ogni genere, sale di cinema e varietà, un ottimo teatro, circoli militari e civili. Venne anche il tempo di frequentare lo chalet della Giuliana (la spiaggia per eccellenza di Bengasi). A distanza di tempo volli visitare Oberdan, Maddalena, Filzi, Beda Littoria e tanti altri villaggi. Ci trasferirono, tra gli applausi della gente e giungemmo a Derna, situata a pochi chilometri dal mare, con un golfo splendido e una posizione meravigliosa. Derna mi è parsa la città più bella di tutta la Cirenaica». Questa la descrizione di Bengasi e di Derna ne I diari di mio padre (ed. Pellegrini). Parliamo del 1939 e del 1940. Chi avrebbe mai immaginato che a distanza di settanta e più anni, in queste stupende città sarebbe successa la fine del mondo? Che lo Stato Islamico sarebbe entrato in Libia? Che gli italiani, allora ben accetti, sarebbero stati costretti fuggire, a parte il lungo periodo di Gheddafi, «rais» schizofrenico e inaffidabile?
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