TripolItalia. Il problema lampeggia come una boa nel Mediterraneo dal 2011, si chiama Libia. È la portaerei dei trafficanti di uomini e così il buon ministro dell’Interno Marco Minniti va a Tripoli per un accordo bilaterale con il governo di Tripoli. Ottimo. Spacchettiamo la notizia.
Alfa non c’è. Dopo le intervistone dove annunciava accordi dall’Alpi alle Piramidi, dal Manzanarre al Reno (Giacomo Manzoni, uno stuntman della letteratura), come sempre arriva la realtà: Angelino Alfano, il Kissinger di Agrigento, è certamente da qualche parte, ma non in Libia. Chi comanda? In Libia chi ha lo scettro? Il governo onusiano di Al Serraj? La risposta è no. Il Corriere della Sera, l’altro ieri, ha pubblicato un’ottima intervista di Lorenzo Cremonesi al generale Khalifa Belqasim Haftar. È lui che comanda, non solo in Cirenaica, ma in gran parte della Libia. Haftar dixit: «L’Italia in Libia si è schierata dalla parte sbagliata». In linea con la nostra tradizione storica: vediamo un vincente, due minuti dopo è il perdente.
Chi è Haftar? Una vecchia conoscenza di Gheddafi (prima alleato e poi avversario), della Central Intelligence Agency (Haftar abitava a Langley, a pochi passi dal «bosco» e una sua milizia fu creata e finanziata dalla Cia nel 1990 in Chad) e dell’Egitto. Haftar si muove con l’appoggio di Al Sisi (Egitto), il 27 novembre scorso è stato ricevuto con tutti gli onori a Mosca dal ministro degli Esteri Sergey Lavrov (Russia), ha ottimi rapporti con re Hussein (Giordania), Un po’ di storia del generale la potete leggere in questo profilo scritto nel 2014 dal titolare di List.
La Libia è uno Stato? La risposta la troviamo a Londra, in questa audizione alla House of Lords del 7 luglio scorso. Parla l’ambasciatore britannico a Tripoli, Lord Millet, gli esiti sono tragicomici. Domanda di Lord Horam: «È vero che c’è una crisi di liquidità in Libia?”. Risposta di Mr. Millett: L’ho visto la scorsa settimana a Tripoli. Alle otto del mattino, durante il Ramadan, c’erano lunghe code di persone fuori dalle banche che cercavano di incassare i loro stipendi.
La Banca Centrale mi ha detto che in Libia circola un numero di banconote pro-capite doppio rispetto a quello del Regno Unito.Domanda di Lord Horam: È vero che le nascondono nei materassi? Risposta di Mr. Millett: Esatto. L’azienda inglese che stampa il Dinaro, De La Rue, ha recentemente fornito un altro miliardo di Dinari. È svanito nel sistema, ma il vero problema da affrontare non è quello di stampare più moneta, è quello di costruire fiducia e sicurezza.
Domanda di Lord Stirrup: Per la gran parte della sua storia, la Libia non è mai esistita. Ci sono sempre state tre province separate (Cirenaica, Tripolitania e Fezzan) con i regni islamici e con l’impero Ottomano. La Libia come la immaginiamo è una costruzione molto recente. Pensa che esistano sufficienti idee unificanti, siano esse di coesione interna o pressione esterna, per mantenere insieme il paese, un qualsiasi schema di collegamento da applicarvi sopra?
Risposta di Mr. Millett: Questa è davvero una sfida di lungo termine. Ha ragione, in Libia ci sono tre regioni. I libici si riconoscono, prima di tutto e innanzitutto, con la loro famiglia, la loro tribù, la loro città e la loro regione. Al momento, l’interesse nazionale e l’unità nazionale non sono fattori unificanti.
La situazione in Libia è migliorata da quando fu deciso l’attacco al regime di Gheddafi? No. Serraj non ha alcun esercito reale a disposizione. E l’intervista di Haftar sul Corriere è la spia rossa accesa dentro il sommergibile.
È probabile che il generale tenti di prendersi tutto il potere in Libia attaccando gradualmente, prima annientando le milizie a Misurata e poi prendendo Tripoli dove, in realtà, non comanda nessuno. Scetticismo del titolare di List? Per sapere e per capire il caos che regna a Tripoli, leggete questa cronaca del Lybia Herald: Serraj è assente, a Londra per una vacanza in famiglia, torna a Tripoli e cancella tutte le nomine ministeriali prese dal suo vice. Seguono dimissioni a catena. Il ministro Minniti va a discutere con l’ectoplasma di un governo.
Tutto chiaro? La Stampa fa questo titolo d’apertura: «Intesa con Tripoli per i migranti. Il piano italiano». Ma è il catenaccio a rivelare la verità sulla situazione: «La difficile missione di Minniti. Bozza pronta, dubbi su Serraj». Con questi dubbi (che in realtà sono le certezze della cronaca, basta leggerla) in Italia avanza un piano per riaprire i centri di identificazione ed espulsione (Cie) in tutte le regioni. Si può fare? Sì. Funzionerà? Non lo sappiamo, finora l’Italia ha fatto un egregio lavoro in mare a cui è seguito il caos a terra. Stato, Regioni e Comuni hanno voci diverse, manca una visione d’insieme, domina la propaganda.
Basta fare un viaggio in tipografia per rendersene conto. Titolo d’apertura del Corriere della Sera: «Così sono fallite le espulsioni». No news. Repubblica fa questo titolo che ha il dono della chiarezza e mette un numero sulle idee del governo Gentiloni: «In ogni Cie 100 migranti». Il Messaggero va giù con un titolo piatto: «Espulsioni, ecco le nuove regole». Il paese che risolve tutto in 24 ore, un miracolo. Il Giornale punta sul portafoglio: «Paghiamo un miliardo per farci invadere». È il costo delle coop per l’accoglienza.
La realtà è che siamo in pieno ciclo elettorale e il governo è in perenne zona rossa, quella dell’emergenza. Senza riforme. È un drammatico indietro tutta, i segnali sono ovunque.
Il tappabuchi. Il prossimo governo che uscirà dalle urne avrà un solo compito, quello del tappabuchi. Titolo di taglio sulla Stampa: «Pronti 1,8 miliardi per la legge antipovertà». È un’intervista a Tommaso Nannicini, economista, ieri a Palazzo Chigi al fianco di Renzi, oggi nella segreteria del Pd sempre a fianco di Renzi. Nannicini è bravo, ha solo un problema: annuncia cose che costano e non hanno alcun senso della realtà del paese. Quasi due miliardi per i poveri (quelli che escono dalle dichiarazione dei redditi? stiamo freschi), siamo all’inseguimento di Grillo su reddito minimo et similia, un altro provvedimento elettorale in un paese ad alto tasso di evasione e furberia quotidiana. Nannicini ci deliziò l’estate scorsa con il fondamentale dibattito ferragostano sulla pensione anticipata, quello dal nome che era un programma da bar, l’Ape. Si va avanti così, la spesa di oggi è il conto di domani.
E i ceti produttivi? Le imprese? Si continua a finanziare un paese immobile: pensionati, pensionandi, dipendenti della pubblica amministrazione. Titolo sul Resto del Carlino: «Boccia: ora nuove riforme». È un’intervista al presidente di Confindustria Vincenzo Boccia che con il sottofondo di chi ha un tremendo sospetto dice: «No a mesi di inerzia».
Caro Presidente, legga Nannicini sulla Stampa, c’è la risposta sui prossimi mesi. Tranquilli, i patrioti guidati dal ministro Calenda risolveranno tutto e fa niente se in Italia il 2016 si è chiuso in deflazione (non succedeva dal 1959) e la pressione fiscale – come ha ricordato Vito Tanzi sul Foglio – «è circa 15 punti del pil, al di sopra degli Stati Uniti e del Giappone, e circa 10 punti al di sopra del Regno Unito». Come si dice in questi casi? La mia spesa è il reddito di un altro. Solo che è a senso unico. Io spendo, l’altro incassa.