Trampolino di lancio dei migranti, ex colonia dove abbiamo importanti interessi economici, energetici e di sicurezza, la Libia è il vero problema della politica estera italiana. La Libia ora è entrata nel grande gioco per il riassetto dei rapporti tra Usa e Russia nel Mediterraneo e in Medio Oriente: questa è la realtà con cui oggi si deve fare i conti.
A Tripoli in pochi giorni si è passati da una pubblicizzata intesa sui migranti, con la riapertura dell’ambasciata italiana, a un tentativo di golpe: non solo l’unità della Libia ma il controllo della stessa capitale restano un miraggio per il governo di Fayez alSarraj, che sarà pure riconosciuto dell’Onu ma non dalla realtà dei fatti sul terreno.
Tanto più che il maggiore sostenitore di Sarraj, ovvero Barack Obama, sta uscendo di scena con gli ormai appassiti accordi di Skhirat che portarono in Marocco alla nascita di un governo a Tripoli in contrapposizione con quello di Tobruk dominato dal generale Khalifa Haftar, l’uomo forte che in Cirenaica si è ripreso la Mezzaluna petrolifera.
Non si può ributtare a mare Sarraj, da dove nel marzo scorso era sbarcato nella baia della capitale libica con grandi speranze, ma pensare che possa assicurare qualche accordo concreto è quanto meno azzardato. Il traffico dei migranti costituisce un terzo del Pil della Tripolitania e avviene in gran parte a Sabrata, gestito dalle milizie, dalle bande criminali ma anche con l’assenso degli stessi militari ai quali Sarraj non può impartire ordini altrimenti gli si rivoltano contro. Anche nell’area di Mellitah dove ci sono i terminali dell’Eni il suo governo conta assai poco: in poche parole la Tripolitania è rimasta nel caos delle milizie e soltanto Misurata, tra gli alleati dell’Italia, ha messo a segno un successo strappando la Sirte dalle mani del Califfato.
Al contrario il generale Khalifa Haftar si fa fotografare sulla portaerei russa Admiral Kuznetsov e gode dell’appoggio di Mosca e degli egiziani, i quali ricevono al Cairo Sarraj come facessero un gesto di cortesia nei confronti di un educato architetto che porta notizie da Tripoli, più che un gesto diplomatico dovuto al portabandiera di una qualsiasi linea di governo.
Russia ed Egitto sembra che abbiano ormai consolidato il loro asse, cui si aggiunge la Siria di Assad, l’Iraq, fornitore di petrolio degli egiziani al posto dei sauditi, e l’Iran, alleato di Damasco, di Baghdad e di Mosca. I russi avrebbero chiesto agli egiziani una base militare a Sidi Barrani e anche ai libici di Bengasi, rinnovando una richiesta che Mosca aveva già fatto a Gheddafi nel 2008.
Al-Sisi, secondo i russi, sta ottenendo quello che voleva dal caos libico: una “profondità strategica” nell’ex colonia italiana.
Ma anche francesi e britannici, che ufficialmente appoggiano il governo di Tripoli, giocano la loro partita dettata dagli interessi nazionali. La Francia ha sostenuto Haftar a difesa delle sue concessioni petrolifere e dell’influenza che vuole esercitare nel Sahel. Gli inglesi, che avrebbero voluto piazzarsi in Cirenaica, vantano diritti storici: furono loro ad avere il mandato sulla Libia postcoloniale e a inventarsi i Senussi come monarchi di tutta la Libia. Gli attacchi all’Italia “neo-colonialista” che vengono adesso da Tobruk qualche sospetto lo sollevano. E Londra una parola su dove devono andare i 60 miliardi di dollari del Lia, il fondo sovrano libico, ci tiene a sempre a dirla. A questi attori si aggiungono Turchia, Emirati e Qatar, i “i pompieri incendiari” che dicono di volere la stabilità libica ma sono sempre pronti a tessere trame con gli islamisti come il golpista Khalifa Ghwell che occhieggia da Haftar.
Più Haftar si consolida e più sarà più difficile farne a meno e contenere le ambizioni egiziane oltre che quelle dei russi. Quando si stava disgregando la Libia italiana lo stesso monarca egiziano Farouk nel 1944 rivendicò la Cirenaica: «Non mi risulta che vi sia mai appartenuta», fu allora la secca replica di Churchill in un burrascoso faccia a faccia al Cairo con il re. Oggi forse dovrebbero essere gli americani a pronunciare le stesse parole. Ma dopo quanto è accaduto negli ultimi anni tra il Maghreb e il Medio Oriente nessuno si fa illusioni. La Libia è una lezione sui tempi che corrono: concetti come “alleato” e “nemico” non spiegano più la realtà internazionale. E l’Italia nel caso libico ha avuto la prova di quanto gli alleati siano più concorrenti che amici.