L’attentato a poche centinaia di metri dalla sede italiana riaperta dopo la visita in LIbia del ministro dell’Interno Marco Minniti

 

Un’autobomba esplosa ieri sera a poche centinaia di metri dall’ambasciata d’Italia a Tripoli potrebbe essere il tentativo mancato di colpire la sede diplomatica italiana per lanciare un segnale al governo Gentiloni. Riaperta da pochi giorni, dopo una visita a Tripoli del ministro dell’Interno Marco Minniti, l’ambasciata è un simbolo concreto del sostegno dell’Italia al governo del presidente Fajez Serraj, l’unico governo riconosciuto dall’Onu in un paese che rimane nel mezzo di un caos politico e militare generalizzato. Colpire l’ambasciata potrebbe essere stato quindi un segnale per intimidire l’Italia e provare a farle fare un passo indietro in Libia.   Sull’autobomba c’erano due uomini che sono morti: l’esplosione è avvenuta verso le 19 in una strada in cui sorge anche una sede del Ministero della Pianificazione. Ministero che da mesi è al centro di contese anche violente fra gruppi e milizie che rivendicano le scelte economiche fatte dal governo. Per cui le ricostruzioni che raccontano che l’obiettivo fosse proprio il ministero potrebbero non essere campate per aria. Alcuni media e fonti libiche sostengono invece la tesi che i due attentatori morti nell’esplosione dell’auto volessero provare ad avvicinarsi proprio all’ambasciata italiana. I due uomini che poi sono morti sull’auto avrebbero provato a parcheggiare alle spalle dell’edificio, nei pressi dell’ingresso secondario. Si tratta di un ingresso che è vicino alla palazzina che veniva utilizzata dalla Polizia italiana ai tempi della collaborazione col regime di Gheddafi e che adesso è ancora inutilizzata dopo essere stata devastata nell’assalto che l’ambasciata subì nel 2011 da parte di una folla di militanti gheddafiani. Secondo questa versione, ieri sera i miliziani fedeli al governo Serraj che controllano l’ambasciata hanno bloccato il tentativo di parcheggio e si sono insospettiti. Uno di loro ha inseguito l’auto per alcune decine di metri, fino a che la bomba è esplosa vicino al Libya Palace Hotel, nell’isolato successivo a quello dell’ambasciata.   Se questa ricostruzione verrà confermata, si tratterebbe dunque di un mancato attentato, un segnale diretto contro la sede diplomatica in cui per la prima volta dal 2015 è rientrato l’ambasciatore Giuseppe Perrone. Il portavoce del governo libico in nottata ha dichiarato che non c’è nessuna prova che colleghi l’esplosione all’Italia. Nella strada dell’attentato ci sono il Libia Palace Hotel e una sede della Banca Shaman Africa, assieme al Ministero della Pianificazione. Secondo esperti di sicurezza sentiti a Tripoli da Repubblica, “nessuno degli altri luoghi merita un’azione come quella di provare a fare esplodere un’autobomba”. “Non crediamo si tratti di un attentato dell’ISIS, questo è un segnale di avvertimento, un piccolo sfregio”, dice una fonte italiana che conosce la Libia, “ed era prevedibile, chi punta a destabilizzare il governo di Tripoli può avere buone ragioni per mettere un simbolo italiano nel mirino”. Immediatamente dopo l’esplosione le milizie che circondano l’ambasciata e garantiscono la sicurezza hanno creato un cerchio di sicurezza più ampio e chiamato rinforzi.  Il vice-presidente Ahmed Maitig ha incontrato l’ambasciatore Giuseppe Perrone per rassicurarlo e garantirgli il sostegno del governo libico. E nella zona è stata schierata anche la Guardia presidenziale che a Tripoli protegge il governo e in particolare il presidente Fayez Serraj.