I veterani di Sirte nella capitale: noi alternativa ai soldati di Sarraj
Quando la giornata volge al tramonto Tripoli si avvolge in un manto color ocra diventando un tutt’uno con le mura della città vecchia che si ergono a protezione della piazza dei Martiri. Mentre il canto delle giostre si fonde con le grida dei bambini, le litanie arabe si innalzano dagli altoparlanti rattoppati delle bancarelle. Una sorta di presepe adagiato sulla sponda Sud del Mediterraneo che fa per qualche istante dimenticare le complicate vicende della capitale libica. Sino a quando lo squarcio delle sirene riporta tutti alla realtà. Sono i pick-up giapponesi, armati con cannoncini e mitragliatrici, con a bordo uomini che imbracciano kalashnikov e indossano divise militari. Uno, due, dieci, cinquanta, attraversano la piazza in circolo scortati da altri pick-up bianchi. Tutti hanno lo stesso stemma con il Golfo della Sirte sullo sfondo e la scritta «Libyan National Guard». È la nuova creatura armata che ieri è stata protagonista dell’ennesima folcloristica prova muscolare per le vie di Tripoli, dove le forze del governo di accordo nazionale di Fayez al Sarraj sono impegnate da giorni in una complessa operazione di «law & order». Una buona parte è composta da reduci di Sirte, volontari delle «katibe» del comando militare di Misurata Al-Bunyan Al-Marsoos che hanno combattuto e sconfitto lo Stato islamico nella città natale di Gheddafi e che rivendicano una «golden share» nella conduzione del Paese. Si sono dati appuntamento nella capitale a ridosso di una data simbolo, il 17 febbraio, quando nel 2011 iniziò la primavera libica.
«Non abbiamo padroni o legami politici», dice Mahmoud Al- Ziga, comandante della Guardia, che annuncia la sua discesa in campo in una conferenza stampa. «La Guardia nazionale libica combatterà ogni atto criminale e terroristico, provvederà a dare supporto a ogni istituzione statale e a proteggerla da qualsiasi tentativo di golpe o attacco terroristico», spiega. Il comandante rivolge un appello alla cooperazione a tutti i libici sottolineando la determinazione a operare «al di fuori delle dispute politiche, tribali e regionali». Tradotto, nessuna collaborazione con il governo di Sarraj sostenuto dalle Nazioni Unite. Anzi, Al-Ziga sembra mettere in guardia il Consiglio presidenziale quando afferma che la Guardia nazionale prenderà il controllo delle installazioni strategiche di mare, di terra e di confine, oltre a contribuire alla creazione di un «esercito secondo standard tecnici e non politici». L’appello va oltre i confini nazionali, con un riferimento tra le righe, forse rivolto all’Italia: «Combatteranno l’immigrazione clandestina» e «proteggeremo le sedi diplomatiche». Quale sia il vero volto della neonata Guardia non è ancora dato saperlo anche se, per alcuni, ci potrebbe essere dietro il solito presidente dell’ex governo tripolino, nemico giurato di Sarraj e autore del presunto tentativo di colpo di Stato di inizio di gennaio. Anche se la Guardia nazionale non è una creatura del tutto nuova visto che venne istituita nel 2015 dal «General national congress», l’autorità post-rivoluzionaria libica. Chi li conosce spiega come si considerino una sorta di guardiani della rivoluzione del 17 febbraio «che ritengono minacciata dalla Cirenaica del generale Haftar tanto quanto dai politicanti della Tripolitania». Più folclore che sostanza secondo fonti vicine al Consiglio presidenziale, come dimostrerebbe il fatto che Rada (brigate governative addette alla sicurezza territoriale) hanno lasciato i nuovi arrivati Khalifa Ghwell, «gozzovigliare» per il lungomare di Tripoli senza muovere un dito, ma sempre tenendo altissima la vigilanza. Si tratta tuttavia di un indicatore del grado di complessità per l’operato del governo di Sarraj, che dopo aver incassato la firma dell’accordo sui migranti con Italia ed Europa, e superato le difficoltà di inizio d’anno dovuti ai black out, si sta adoperando in azioni per riportare la legalità nella capitale. Come quella che ha visto le milizie del quartiere popolare di Bou Slim scontrarsi con bande criminali a suon di colpi di mortaio sulla via dell’aeroporto, proprio mentre il tramonto di Tripoli segnava un giorno di meno alle celebrazioni di una rivoluzione ancora in atto.