Il premier libico: “Fondamentale il controllo dei confini meridionali. La guerra con l’Isis non è ancora finita, minaccia il mondo intero”
«Il Memorandum siglato con l’Italia è un punto di svolta nella lotta all’immigrazione clandestina, perché allarga il raggio di azione dalle coste ai confini meridionali della Libia. Oltre a trattare con la dovuta importanza gli aspetti umanitari e fissare responsabilità allargate. Fayez al-Sarraj non ha dubbi sulla bontà dell’intesa raggiunta tra il suo Governo di accordo nazionale, l’Italia e l’Europa e lo sottolinea parlando in esclusiva a La Stampa nel suo quartier generale di Abu Sitta.
Partiamo dal Memorandum, quali opportunità si aprono per la Libia?
«Il Memorandum pone innanzi tutto l’accento sulla responsabilità allargata di tutti sul contrasto al traffico di esseri umani: Libia, Italia ed Europa. Abbiamo chiesto al vostro Paese di aiutarci ad affrontare il problema valutando in particolare gli aspetti umanitari del problema, tutelando il più possibile i migranti e non parlando solo di centri di detenzione. E all’Europa di sostenerci con forniture di strumentazione e mezzi per la sorveglianza anche nel Sud, restando ferma la cooperazione con la missione Sophia. Ci sono molti dettagli di cui abbiamo parlato in questo accordo che ritengo cruciale, sebbene qualcuno pensa che sarà un fallimento. Forse chi lo dice non lo hanno neppure letto».
Diventa strategico il controllo dei confini meridionali come conferma il recente incontro di Roma tra il ministro degli Interni Marco Minniti e le principali autorità locali del Fezzan. Quale risultato è stato prodotto?
«È servito a chiarire alcuni aspetti. C’erano state incomprensioni da parte del Sud, ad esempio sul fatto che i migranti respinti dovevano essere trattenuti permanentemente in Libia, ma non è così. L’incontro è servito a chiarire aspetti applicativi in realtà specifici».
Lei è stato bersaglio di un attacco armato mentre nei giorni scorsi ci sono stati violenti scontri tra formazioni militari nel quartiere tripolitino di Bou Sleem. Che Libia è quella che ha appena celebrato il sesto anniversario della sua primavera rivoluzionaria?
«Il sesto anniversario è stato vissuto con sentimento contrastante, abbiamo celebrato la fine di un’era e l’inizio – speriamo – di una nuova ispirata alla democrazia e alla libertà per il popolo libico. Dobbiamo ammettere che sono stati fatti molti errori nei sei anni passati e ora dobbiamo porvi rimedio e rimetterci sul binario giusto, ma tanti errori impongono tempi di recupero lunghi. Ogni atto criminale e violento dovrebbe spingere tutti i libici a stringersi attorno al Gna e porre fine a questa logica di guerre tra milizie e regolamenti di conti tra gang figlie di anni di caos e proliferazione di armi».
Dopo il nulla di fatto del Cairo ritiene Haftar ancora parte della soluzione o si va inesorabilmente verso l’ipotesi di una Libia divisa?
«Tutti devono essere coinvolti nel processo di stabilizzazione, militari e politici. Sono rimasto molto sorpreso del rifiuto, ero mortificato per il popolo libico. Ad oggi il perché non è chiaro. Sarebbe stato un passaggio importante per avviare un percorso di ricostruzione politica e militare, per combattere i terroristi assieme, potevamo inaugurare una nuova fase. Proseguiremo comunque su un percorso inclusivo invitando tutte le parti al tavolo negoziale».
Lei ha menzionato una «roadmap» per salvare la Libia. Prevede una modifica degli accordi quadro di Skhirat, specie sul nodo Difesa?
«Dopo un anno di governo ho sentito il bisogno di varare una “road map” per rimuovere gli ostacoli che si interpongono alla ricostruzione della nazione. E questo prevede anche la modifica di alcuni dettagli di Skhirat. Ma dobbiamo ripartire da quell’accordo, non si tratta di farne uno nuovo perché questo ci riporterebbe indietro di un anno. A questo punto l’alternativa alla “road map” è la guerra civile».
In questo senso su quali priorità dovrebbe lavorare l’Onu?
«Il sostegno della comunità internazionale deve essere dimostrato con fatti e non solo a parole, per dare un segnale al popolo libico, perché la nostra gente possa avere prova che l’Onu ha a cuore il destino dei libici».
L’Italia un segnale lo ha dato almeno con la riapertura dell’ambasciata, cosa vi aspettate ancora?
«Le relazioni tra i nostri Paesi hanno radici profonde. L’ambasciatore Giuseppe Perrone sta operando bene, l’impatto è positivo. Vogliamo proseguire questo cammino con il vostro Paese perché ci può dare tanto, dalla sanità all’istruzione, per il benessere futuro del popolo libico».
Che tipo di sostegno vi aspettate dalla Nato?
«Al segretario Jens Stoltenberg abbiamo chiesto di sostenerci nel costruire il nuovo sistema militare libico, un sistema di Difesa forte e organico ma che risponda sempre e comunque al governo legittimo, in un quadro di massima legalità».
La Russia in Libia è un’opportunità o un elemento di turbativa?
«Ci aspettiamo un atteggiamento costruttivo da Mosca perché ha buoni rapporti con molti Paesi coinvolti nel dialogo libico. Ho visto Sergei Lavrov in diverse occasioni, sono stati incontri positivi, abbiamo molte cose in comune con la Russia».
Ci può dire che tipo di contatti ha avuto con l’amministrazione Trump e che cosa si aspetta da Washington?
«La nostra relazione con gli Stati Uniti è assolutamente strategica specie nella lotta al terrorismo. I primi contatti sono stati molto positivi in termini di sostengo al Gna come confermano diverse dichiarazioni ufficiali e la prosecuzione dei radi anti-Isis. Non abbiamo visto cambiamenti drammatici di baricentro da parte Usa, ritengo che Trump proseguirà su questa strada».
A proposito di Isis, è ancora un rischio per la Libia?
«È un rischio per tutto il mondo. Noi li abbiamo cacciati da Sirte grazie al coraggio della nostra gente e al sacrificio dei nostri martiri, abbiamo pagato un prezzo enorme nonostante l’aiuto della comunità internazionale. Da quella esperienza dobbiamo imparare: alcuni sono scappati nel deserto e questo significa che siamo ancora in guerra con loro e lo saremo sino a quando non ce ne sarà più traccia in Libia».