Le conferenze internazionali si dividono in due categorie: quelle importanti e quelle meno importanti. Le prime producono effetti; le seconde, difetti. Alle conferenze importanti partecipano Putin e Trump, che però mancano a Palermo, dove si vorrebbe discutere il futuro della Libia. È pertanto urgente capire perché i presidenti di Stati Uniti e Russia abbiano scelto di non partecipare. Trump è assente per ribadire a Giuseppe Conte quanto disse a Paolo Gentiloni in un incontro alla Casa Bianca del 20 aprile 2017, e cioè che gli Stati Uniti intendono disimpegnarsi in Libia. Le parole di Trump a Gentiloni furono: «Io non vedo un ruolo degli Stati Uniti in Libia». Non per una mancanza di riguardo verso l’Italia, ma perché gli Stati Uniti hanno risorse limitate e devono scegliere dove investirle. Se spendono di più per militarizzare il Mar cinese meridionale, devono spendere di meno altrove. La Libia è un “altrove”. Gli studiosi americani la chiamano «grande strategia», che è un modo di interpretare il mondo per capire dove piazzare i dollari. A differenza di Trump, Putin è assente perché è molto interessato alla Libia. Il capo del Cremlino ha, tra le sue ambizioni maggiori, quella di costruire una base navale sulle coste della Cirenaica per potersi incuneare militarmente in un bacino della Nato. Il problema è che Putin non ritiene che i tempi siano maturi per recarsi a Palermo, a causa dell’assenza di Macron. Il fatto che il presidente della Francia abbia scelto di non partecipare significa che intende organizzare un’altra conferenza sulla Libia, sotto la propria egida. Il che trasforma la conferenza di Palermo in una conferenza in vista di un’altra conferenza, giacché non esiste alcuna possibilità di stabilizzare la Libia senza la collaborazione della Francia. Gli sforzi del ministro Enzo Moavero Milanesi sono encomiabili, ma la Libia non è questione di volontà soggettive, bensì di forze oggettive. Siccome la politica internazionale è fatta di rapporti gerarchici in un contesto anarchico, comprendere il comportamento degli Stati significa ricostruire la catena di comando procedendo dal più forte al più debole. La catena in Libia, per quanto riguarda la regione della Cirenaica, è ordinata come segue. Al primo posto c’è Putin, al secondo Macron, al terzo al-Sisi, che è il presidente dell’Egitto, e al quarto Haftar, il generale libico più potente. La catena di comando, in politica internazionale, funziona diversamente rispetto alla politica interna. Il ministro dell’Interno può dire al capo della polizia ciò che deve fare, tant’è vero che può rimuoverlo. Putin non può dire a Macron ciò che deve fare, tant’è vero che non può rimuoverlo, ma può impedirgli di fare ciò che vuole. E così via, dall’alto verso il basso, fino ad arrivare ad Haftar, l’uomo che fa, per conto di uomini che fanno fare. La domanda è che cosa l’Italia possa fare in una situazione così complessa. La risposta è che l’Italia deve fare ciò che sta facendo e, precisamente, non perdere la calma. La stabilizzazione della Libia è una partita che si giocherà nel lungo periodo. Questo richiede che il governo Conte operi come il governo Gentiloni, ovvero pensando al governo che prenderà il suo posto per assicurare una linea di continuità verso la Libia, basata su due punti fermi.
Il primo è l’embargo delle armi. La guerra civile in Libia ha causato un numero di morti così limitato rispetto alla Siria per varie ragioni. La più importante è che l’Italia si è battuta per l’embargo delle armi, in ossequio a una regolarità che non soffre eccezioni di sorta: pochi cannoni, poche esplosioni. È un compito di Conte in persona. Il secondo punto fermo, ed è compito di Moavero Milanesi, è la continua mediazione per impedire che le armi in circolazione – le quali giungono ugualmente dall’estero per quanto in misura limitata – non sparino troppo. Ciò rende necessario organizzare conferenze periodiche, come quella di Palermo, anche se poi finiscono nella categoria delle conferenze meno importanti. Non sono importanti sul piano globale, ma svolgono due funzioni di notevole importanza su scala regionale. La prima è di mettere in contatto le fazioni libiche rivali mostrando loro che la comunità internazionale è vigile. La seconda è di mandare un messaggio alle potenze che ambiscono a impossessarsi della Libia. Il messaggio è che l’Italia non è distratta. Se non può decidere, non lascerà che altri prendano decisioni dannose per la propria sicurezza nazionale.