Un blitz in piena regola. Che suona come una vendetta all’indomani delle dichiarazioni del ministro dell’Interno Matteo Salvini sugli «Hezbollah terroristi», frasi che hanno scosso la linea italiana di politica estera nell’area. Ieri, mentre lui era assente – ancora impegnato in Israele, in una visita al premier Bibi Netanyahu – il Consiglio dei ministri ha deciso di sostituire il nostro ambasciatore in Libia. Dopo quattro mesi di braccio di ferro dentro al governo tra chi come Salvini voleva preservare il capo delegazione uscente Giuseppe Perrone e chi, come il ministro degli Esteri Enzo Moavero, proponeva l’avvicendamento, ieri è andata in scena la vittoria del capo della Farnesina con la nomina di Giuseppe Buccino Rinaldi. A qualche migliaio di chilometri di distanza, da Gerusalemme, il vicepremier leghista non l’ha presa bene. Offeso dallo sgarbo, l’ha giurata a Moavero, ministro moderato ed europeista su cui fin dalla nascita del governo si è concentrata la diffidenza del Carroccio: con il suo benestare, racconta chi conosce bene il vicepremier, il ministro degli Esteri non diventerà mai commissario italiano in Europa. Si risolve così una vicenda che da settimane ormai stava in cima alla lista dei problemi di politica estera da affrontare per il governo. È dal 10 agosto che Perrone, diplomatico esperto, grande conoscitore della Libia e dell’arabo, ha lasciato Tripoli ed è rientrato a Roma dopo una intervista concessa a un media libico molto criticata da figure vicine al generale Khalifa Haftar, l’uomo forte della Cirenaica. Per quattro mesi, il governo si è interrogato sul da farsi. Trattenuto l’ambasciatore a Roma per ragioni di sicurezza, una sede calda come Tripoli si è trovata senza la guida proprio nelle settimane in cui si doveva preparare la Conferenza sulla Libia di Palermo. Dalla Farnesina, l’idea di sostituirlo, sostenuta anche dai vecchi vertici dei servizi di sicurezza: ma Salvini finora era riuscito a imporre il suo no, e, piuttosto, ha spinto per cambiare quei vertici con nuove figure provenienti dalla Guardia di Finanza. Intanto, nella magmatica realtà libica, qualcosa in questi mesi cambiava: sarebbe stato lo stesso Haftar, incontrando il premier Giuseppe Conte a Palermo, a proporre con forza il rientro di Perrone e bocciare l’ipotesi Buccino, che già circolava. Il perché è presto detto: il diplomatico napoletano, 57enne oggi direttore generale per l’Unione europea al ministero degli Esteri, è stato già ambasciatore in Libia in un’altra fase, dal 2011 al ‘15, prima della nascita del governo sostenuto dall’Onu. E Haftar lo considera troppo vicino al mondo dei Fratelli musulmani sostenuti da Qatar e Turchia. La sua passata esperienza su quel terreno è la stessa ragione che porta alcuni membri del Consiglio presidenziale del governo guidato da Fayez Al Sarraj a far filtrare perplessità sulla nomina. Contestualmente, ieri è stato deciso il trasferimento di Perrone a Teheran: ironia della sorte o scelta maliziosa, quell’Iran tirato in ballo da Salvini attaccando frontalmente Hezbollah. Mentre Buccino dovrà ottenere il gradimento e poi potrà insediarsi a Tripoli, con di fronte a sé una partita difficilissima in cui l’Italia vuole giocare un ruolo di primo piano. Oggi, a Bruxelles, potrebbe esserci un incontro tra Sarraj e Haftar, alla presenza del premier Conte, il primo dopo quello avvenuto a Palermo.
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