«Riprendere in mano il Trattato di amicizia e lavorare da subito sul debito che la Libia ha con l’Italia e le aziende italiane per favorirne il ritorno nel nostro paese». A mettere in chiaro alcune tra le priorità del suo mandato è Omar Tarhuni, nuovo ambasciatore della Libia in Italia, un Paese con il quale ha avuto rapporti antichi sia per le attività imprenditoriali di famiglia, sia per gli studi condotti dal 2002 al 2006 a Roma. È tra i protagonisti politici della Libia post Skhirat, è stato lui a organizzare i principali incontri con le autorità italiane, dalla missione nel Paese nordafricano dell’ex capo della Farnesina, Paolo Gentiloni, nell’aprile del 2016, la prima di un ministro Ue dalla rivoluzione, a quelle più recenti dell’ex ministro degli Interni Minniti. Ambasciatore, cosa significa rappresentare la Libia in Italia?«Mi faccia mettere in chiaro una cosa: in un momento in cui si cerca di ricucire gli strappi e di lavorare per la pacificazione e la stabilizzazione del paese, mi propongo come l’ambasciatore di tutti i libici, dell’Ovest, dell’Est e del Sud». Il momento è delicato, qual è la situazione a Tripoli?«Con l’avvio delle misure di sicurezza da parte del Consiglio presidenziale e le sue decisioni, che comprendevano la nomina di un nuovo ministro degli Interni, c’è un netto miglioramento». Cosa pensano i libici dell’Italia?«L’Italia è un partner fondamentale con cui dobbiamo lavorare su tanti aspetti, politici e non, a partire dall’accordo del 2008. Occorre riprenderlo in mano e attuarlo in funzione dei cambiamenti degli ultimi dieci anni e le mutate esigenze dei due Paesi e dei due popoli». Su cosa altro punta nel suo mandato?«Un altro punto importante è quello relativo al dossier sul debito storico della Libia con l’Italia e le aziende italiane che hanno operato nel nostro Paese. Stiamo inviando una lettere alle imprese che desiderano tornare a lavorare in Libia e avere accesso alle commesse. L’ammontare del debito che rimane al netto di ciò che era stato ripagato on il Trattato di Amicizia, si aggira sopra i 230 milioni di euro. Sarà nostra priorità trovarne soluzione». Sembra un obiettivo ambizioso…«Abbiamo bisogno di tempo a causa di problemi politici e divisioni, ma senza dubbio il lavoro deve iniziare subito. Su questo punto permettetemi di dire che è ingiusto e controproducente adottare misure per congelare beni e conti dell’ambasciata, perché è una goccia nel mare. Paralizzano le attività diplomatiche e consolari, non consentono i pagare funzionari e dipendenti italiani, impediscono tutte le iniziative per il dialogo e la cooperazione. Su questo punto c’è una causa in corso, abbiamo vinto già due procedimenti e stiamo in attesa del terzo. Ho fiducia nella magistratura italiana nonostante le pressioni esterne». Ci sono altri programmi a cui tiene in particolare?«Quello delle cure mediche agli eroi di Sirte organizzate nelle strutture italiane, assieme alla formazione del personale medico libico, una cooperazione di altissimo valore». Cosa ne pensa della questione relativa al nostro ambasciatore a Tripoli?«Vogliamo ringraziare l’ambasciatore italiano Giuseppe Perrone per il suo lavoro. Il contributo del vostro Paese in questo momento è cruciale per noi, Perrone ci mancherà, ma siamo pronti a lavorare con il nuovo ambasciatore». Ha incontrato il ministro Enzo Moavero?«Non ha avuto ancora tempo di ricevermi. Ho fatto richiesta ufficiale da oltre un mese, nel frattempo ho incontrato già diversi ministri e ambasciatori di altri Paesi, anche il collega americano Lewis Eisenberg. Moavero no».
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