Si profila una crisi di governo in Libia dopo l’ultimatum dei tre vicepresidenti del Consiglio al premier Fayez al Sarraj. Ahmed Maetig, Fathi al Majbari e Abdel Salam Kajman hanno infatti inviato una lettera in cui ufficializzano il proprio rifiuto ad appoggiare un processo decisionale «individuale», che rischia di portare il Paese «ad un nuovo scontro armato tra fazioni». Secondo i tre esponenti del Governo di accordo nazionale – che rappresentano Misurata, Cirenaica e la compagine vicina alla Fratellanza musulmana – gli obiettivi intermini di lotta al terrorismo, immigrazione illegale e crisi economica non sono stati affatto raggiunti dall’esecutivo in carica. E ciò a causa «di politiche mal concepite e azioni irresponsabili» avviate da Sarraj senza alcuna consultazione condivisa. «Il Consiglio presidenziale è divenuto una delle parti della crisi e non un mezzo per risollevarla», si legge nella dichiarazione. «Il perseguimento da parte di Sarraj di un’esclusione dei partner interni al Consiglio, la sua totale dipendenza dalle coalizioni transnazionali e da attori internazionali porterà a un completo collasso non solo del governo ma di tutto il Paese», hanno sottolineato i tre. Parole durissime che hanno il sapore di una sfiducia nei confronti dell’attuale premier, il quale avrebbe operato da tempo in totale autonomia al contrario di quanto prevedono gli accordi costitutivi di Skhirat. La causa ultima del dissidio è stata in particolare la nomina di un ministro della Sanità avvenuta d’imperio da parte di Sarraj. Cos^ Maetig, Al Majbari e Kajman hanno voluto sottintendere che lo riterranno responsabile dell’imminente collasso delle istituzioni statali e della spaccatura del Paese, che rischia di far tornare la popolazione libica «al punto di partenza». Secondo fonti tripoline, Sarraj starebbe agendo per conto proprio nella gestione della Libia forte della convinzione che rimarrà presidente sino a quando non ci saranno le elezioni. Oltre al fatto che «subisce le pressioni della milizia di Haitem Tajuri», ex rivoluzionario e signore della guerra. Il terremoto ai vertici rischia di complicare il già sofferto percorso di stabilizzazione del Paese, che vede avvicinarsi la data del referendum costituzionale in Libia, tappa fondamentale della road map Onu per andare a elezioni parlamentari e presidenziali, che potrebbe tenersi entro la fine di febbraio.
L’ipotesi voto in primavera. Secondo l’inviato speciale Onu, Ghassam Salame, le consultazioni parlamentari potrebbero tenersi già in primavera mentre per le presidenziali si dovrà attendere la fine dell’anno o addirittura il 2020. È certo che una crisi di governo farebbe deragliare il processo, ed ecco perché gli americani sono profondamente irritati con Sarraj. Anche perché l’instabilità istituzionale favorisce il ritorno del terrorismo nel Paese, afferma Washington. Alguni giorni fa è stato sventato un altro attentato a Tripoli, e le bandiere nere sono sempe più asserragliate a Bani Walid e, soprattutto, nel sud, a Ghate e Zillah, dove non c’è un preoccupante vuoto istituzionale. Secondo l’osservatorio Nemrod della Sorbona, «il 2018 ha visto aumentare la capacità dell’Isis nel Paese. Finché il conflitto politico in Libia continua, i jihadisti possono contare su questa forza nel Sud, che ha dimostrato di controllare da remoto attacchi all’estero», come quello di Manchester.