La città-chiave Sirte, che si trova a circa 280 miglia a est della capitale Tripoli, è sotto il controllo delle forze fedeli all’uomo forte della Cirenaica da gennaio scorso. La città che si affaccia sul Mediterraneo, in cui nacque e morì Muammar Gheddafi sembra essere diventata il punto di arrivo del conflitto militare tra le due fazioni in campo e i rispettivi alleati.

 

Le minacce di al-Sisi

Il presidente egiziano, Abdel Fattah al-Sisi, ha avvertito il Governo di accordo nazionale (Gna) che un eventuale attacco alla città di Sirte potrebbe provocare un intervento militare egiziano nel paese vicino a sostegno dell’alleato Khalifa Haftar.

In un discorso televisivo, il presidente egiziano ha dichiarato che Sirte è una “linea rossa” per l’Egitto, sottolineando la necessità di proteggere il confine tra i due paesi e aggiungendo che “qualsiasi intervento diretto del Cairo in Libia ha legittimità internazionale”.

Dall’altro lato, il Gna ha respinto l’avvertimento egiziano e lo ha considerato una minaccia alla sicurezza nazionale del proprio paese.

 

L’importanza di Sirte e Jufra

Il Gna, guidato da Fayez al-Serraj, è stato chiaro: si fermeranno solo dopo aver preso Sirte e Jufra. La prima è città costiera strategica perché a metà strada tra Tripoli e Bengasi e prenderla vorrebbe dire avere una porta che si apre sulle principali strutture petrolifere del paese. Sirte si sta configurando come punto critico di contesa tra Russia e Turchia, con la Francia che tenta in tutti i modi di ostacolare la politica turca nell’area. La città è la porta occidentale della “mezzaluna petrolifera” della Libia, sulla rotta che domina le località di Sidra, Ras Lanuf, Brega e Zueitina, dove ci sono un numero importante di gasdotti petroliferi. La seconda, Jufra è tra le basi militari più grandi del paese nordafricano. In un conflitto in cui il cielo sta facendo da padrone, assicurarsi Jufra vorrebbe dire minacciare ancora di più l’est del paese controllato da Haftar.

 

La città di Gheddafi

L’attenzione degli osservatori è, quindi, rivolta alla città simbolo dell’ex dittatore libico. Gheddafi nacque a Qasr Abu Hadi, a circa 20 km a sud di Sirte nel 1942 durante l’occupazione italiana, e da lì lanciò la sua battaglia politica-militare che lo porta a governare il paese per oltre 40 anni. Nel 2011 durante la rivolta di febbraio, l’ex dittatore si rifugiò a Sirte, dichiarandola capitale di fatto, dove dopo pochi mesi fu catturato e ucciso.

A seguito dell’incontro a Zuwara, nella Libia occidentale, tra le delegazioni libiche e statunitensi, l’Ambasciata americana in Libia ha rilasciato una dichiarazione in cui Washington suggerisce una linea-limite che arriva a Sirte e Jufra per un possibile cessate il fuoco. Nell’attuale contesto, l’incontro si è concentrato sulle opportunità di una pausa strategica delle operazioni militari da parte di tutte le parti coinvolte nel conflitto.

Ma Sirte presenta un dilemma per gli attori esterni che sostengono il feldmaresciallo. Con il fallimento della conquista di Tripoli, si sta cercando in tutti i modi di riavviare quel processo politico cruciale per la soluzione del conflitto. Il ministro degli esteri russo, Sergey Lavrov, e il suo omologo egiziano, Sameh Shoukry, sono d’accordo sul fatto che l’unica soluzione possibile per raggiungere la fine degli scontri è politica. Lo stesso aveva detto al-Sisi nella dichiarazione del Cairo del 6 giugno scorso. Così come gli Emirati Arabi Uniti e l’Arabia Saudita che sostengono le iniziative e le preoccupazione dell’Egitto.

Mentre la Turchia ha segnato la vittoria di al-Serraj su Tripoli con visite di alti funzionari e colloqui, gli EAU e la Russia hanno lasciato intendere la loro insoddisfazione per la cattiva gestione delle operazioni guidate da Haftar. Il feldmaresciallo è ritenuto ormai una scommessa sbagliata, ma abbandonarlo ora significherebbe un’ammissione di fallimento oltre alla grande perdita di denaro.