Nella giornata di ieri due residenti nella zona di Sultan, a circa 50 chilometri da Sirte, hanno perso la vita a causa dell’esplosione di una mina. Secondo fonti locali, l’esplosione sarebbe avvenuta mentre i due ragazzi tentavano di aprire l’ordigno per estrarre l’esplosivo per poi riutilizzarlo nelle operazioni di pesca al largo della costa di Sirte (uno pratica utilizzata per ottenere grande quantità di pescato da vendere).
I resti della guerra e le mine terrestri dislocate nelle parti meridionali di Tripoli e nelle aree circostanti continuano a reclamare la vita di civili innocenti. Resta fondamentale sostenere le autorità libiche e le organizzazioni della società civile nei loro sforzi per ripulire il territorio fornendo risorse aggiuntive come finanziamenti, formazione, attrezzature e potenziamento delle capacità libiche.
L’ultimo conflitto civile che ha visto l’uomo forte della Cirenaica, Khalifa Haftar, assediare la capitale Tripoli per oltre un anno con l’obiettivo di conquistarla e porre le basi per un governo militare, ha lasciato un residuo di mine sulle principali aree interessate dagli scontri. Nel maggio 2020, l’allora Governo di accordo nazionale (Gna), riconosciuto dalle Nazioni Unite, ha scoperto una significativa contaminazione da mine nelle aree di Tripoli sgomberate dai ribelli in quel periodo. I ribelli in partenza provenivano da una compagnia militare russa, il gruppo Wagner, che combatteva per conto di Haftar. Da allora molte sono le vittime causate dalle esplosioni di questi ordigni.
Il 27 marzo scorso un civile è morto in un’esplosione di una mina piazzata dai mercenari russi a sud della capitale. Il 18 marzo, un quattordicenne è rimasto ucciso e altri due sono rimasti feriti nell’esplosione di una mina nei pressi della loro abitazione a Ain Zara. Ad agosto dell’anno passato, l’esplosione di due mine ha ucciso quattro civili impegnati in una battuta di cacca tra Zliten e Al-Dawon. Il Libyan Mine Action and War Remnants Center ha riferito che da maggio 2020 a marzo di quest’anno sono 236 i cittadini vittime di mine antiuomo e trappole esplosive. Il numero include 163 civili e 73 specialisti di sminamento, secondo un recente rapporto statistico del centro. Poche settimana fa, il coordinatore umanitario residente e vice capo della missione di sostegno delle Nazioni Unite in Libia (Unsmil), Georgette Gagnon, ha annunciato il completamento delle operazioni di sminamento lungo i 120 km di strada costiera che collega l’est all’ovest del paese, compresa la rimozione di 7,5 tonnellate di residui bellici esplosivi, per facilitare la riapertura del strada.
Nel piano di sminamento del paese, l’Italia ha avuto un ruolo chiave attraverso le sue unità specializzate. La missione Miasit, attiva dal gennaio 2018, tra i suoi compiti prevede il sostegno a carattere umanitario e ai fini di prevenzione sanitaria attraverso corsi di aggiornamento a favore di team libici impegnati nelle attività di sminamento. Durante l’incontro del Ministro degli Esteri libico, Najla Al-Mangoush, prima con l’omologo italiano Luigi DI Maio e poi con il Ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, è stata espressa gratitudine per il supporto fornito dall’Italia nel campo dello sminamento e della formazione dei quadri libici in questa specializzazione. Anche le Nazioni Unite sono attive sul territorio fornendo assistenza in questo preciso ambito. L’Unmas (United Nations Mine Action Service) è presente nel paese nordafricano dal marzo 2011 ed è stato integrato nel corso degli anni dall’attività dell’Unsmil. L’Unmas dà la priorità al potenziamento delle capacità degli attori libici impegnati nella bonifica delle aree e supporta il Libyan Mine Action Center (LibMAC) nei processi di accreditamento per le organizzazioni, facilitando il coordinamento con le parti interessate internazionali e i partner locali. Dal 2015, la missione onusiana ha formato operatori; ha addestrato ufficiali della Libia orientale in indagini non tecniche e ufficiali della difesa aerea in munizioni e sicurezza chimica; ha fornito una formazione medica avanzata al primo soccorritore; e ha addestrato diversi operatori ad affrontare le minacce di ordigni esplosivi in particolar modo nella zona di Sirte.
La questione delle mine è un problema che lo Stato libico si porta dietro da anni. La Libia non ha aderito al Trattato per la messa al bando delle mine. Il governo di Muammar Gheddafi ha mostrato interesse per il Trattato ma non ha fatto alcuno sforzo per aderirvi, e i funzionari libici spesso hanno criticato il trattato e ne hanno chiesto la revisione. Nonostante ciò, il paese nordafricano ha partecipato in qualità di osservatore a molte delle riunioni degli Stati parti del trattato. Prima del 2011, la Libia ha costantemente affermato di non aver mai prodotto o esportato mine antipersona e di non accumulare più le armi. Tuttavia, in seguito sono emerse prove abbondanti della presenza di una scorta di centinaia di migliaia di ordigni. Quando il governo di Gheddafi ha progressivamente perso il controllo del paese nel 2011, questi enormi depositi di armi contenenti anche mine terrestri e altre munizioni sono stati abbandonati dalle forze governative e lasciati non protetti.
L’azione a favore di uno sminamento è una prima risposta fondamentale e consente un soccorso umanitario, la protezione delle persone, un rafforzamento della fiducia e una ripresa rapida delle normali attività. Tale azione avrà un impatto positivo sulla vita quotidiana dei civili, come il ripristino dei servizi di base, l’accesso ai mercati e la libertà di potersi muovere in maniera sicura.
Mario Savina, analista ricercatore, si occupa di Nord Africa e flussi migratori. Sapienza Università di Roma, AIRL Onlus – Italiani di Libia, OSMED – Osservatorio sul Mediterraneo (Istituto “S.Pio V”)