Nella giornata di ieri l’ambasciatore libico in Italia, Omar Abdel-Salam al-Tarhouni, è stato ricevuto dalla ministra della Giustizia italiana, Marta Cartabia. Al centro dei colloqui le procedure per la visita a Roma del primo ministro del Governo di unità nazionale (Gnu) di Tripoli, Abdel-Hamid Dbeibah, che come confermato dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio avverrà lunedì 31 maggio. Sul tavolo anche una serie di questioni relative alla cooperazione bilaterale e al rafforzamento delle relazioni economiche e politiche tra i due paesi.

Le due parti hanno discusso la firma di un accordo bilaterale di estradizione dei detenuti e dei benefici della competenza italiana nel campo della giustizia di transizione. Su questo punto l’Italia, ritenuta esperta del settore, data l’esperienza accumulata dopo la fine della seconda guerra mondiale e la fondazione della Repubblica, potrebbe supportare il paese nordafricano nell’attuale fase. Per giustizia di transizione (o Transitional Justice) si intende quell’insieme di processi giudiziari e amministrativi che hanno luogo nella fase di passaggio da un assetto politico autoritario ad uno democratico. L’obiettivo è quello di individuare i responsabili dei regimi precedenti e i loro sostenitori e di giungere, attraverso una serie di misure giuridiche e politiche, a una pacificazione interna che permetta innanzitutto la ricostruzione civile e morale della società. Si tratta di esperienze occorse più volte nella storia degli ultimi settant’anni, basti pensare ai processi avviati alla fine della Seconda guerra mondiale in Germania, Francia, Giappone e Italia, o alle transizioni più recenti avvenute, ad esempio, nei paesi dell’Europa orientale dopo il crollo dell’Unione Sovietica. Su questo punto, la ministra italiana ha espresso la disponibilità a collaborare con il Ministero della giustizia libico, guidato da Ibrahim Al-Busifi.

La Cartabia e al-Tarhouni hanno affrontato anche la questione in sospeso riguardante i crediti rivendicati dalle aziende italiane che hanno lasciato il paese durante il conflitto civile. Erano oltre un centinaio le aziende italiane presenti in Libia prima del 2011, operanti in svariati settori, dalle infrastrutture alle costruzioni, dalla tecnologia alle telecomunicazioni, dal food al settore ittico. L’Italia ha in Libia degli asset importanti da un punto di vista economico, politico e culturale. La storia degli investimenti italiani recenti in Libia è importante. Nel 2010 l’Italia rappresentava il primo mercato di destinazione delle esportazioni libiche con il 42,3% del totale. I settori più rilevanti erano e sono quelli delle costruzioni, dell’impiantistica industriale, delle infrastrutture e dell’energia. Quando si parla di aziende italiane in Libia, il primo nome che ricorre è quello di Eni, presente nel paese da oltre mezzo secolo e operante in joint venture con la National Oil Corporation; la società non ha mai sospeso le sue attività durante il periodo del conflitto civile. Non a caso, il premier libico ha già incontrato nei mesi scorsi Claudio Descalzi, amministratore delegato di Eni. Al centro di quel colloquio le attività dell’azienda italiana in Libia, dei mezzi per far procedere l’economia libica nella giusta direzione e della cooperazione nel settore dell’energia, in particolar modo quella da fonti rinnovabili. La Libia ha bisogno inoltre che Eni investa e promuova la responsabilità sociale nei settori della salute, dell’istruzione, della formazione professionale e dell’energia elettrica.

Come detto, il capo del Gnu arriverà a Roma fra qualche giorno per incontrare il premier italiano Mario Draghi e illustrerà le opportunità d’investimento del suo paese alla controparte italiana. Per l’occasione dovrebbe svolgersi anche un business forum che permetterà ai principali attori economici italiani di interloquire con il primo ministro libico e i diversi membri del suo governo che lo accompagneranno nella missione diplomatica. L’Italia è vista dalla Libia come un partner fondamentale, così come il rapporto con Tripoli è considerato vitale per Roma. Due sponde del Mediterraneo che camminano e lavorano insieme. L’Italia ad oggi guida i partner occidentali che stanno assistendo il percorso di stabilizzazione intrapreso dall’attuale governo libico e come detto dallo stesso ambasciatore al-Tarhouni qualche settimana fa in un’intervista a Formiche.net “ è importantissimo sottolineare in questo momento come il rapporto di cooperazione tra Italia e Libia sia vivace e attivo”.

Sul fronte migrazioni, altro tema caldo del dialogo tra Roma e Tripoli, l’Onu ha chiesto nelle scorse ore all’Unione Europea di garantire che tutti gli accordi e le misure di cooperazione sulla governance della migrazione con la Libia siano coerenti con il diritto internazionale, soprattutto in tema di diritti umani. Sulla questione appare positivo il bilaterale avvenuto tra il presidente italiano e quello francese, Emmanule Macron, al margine del Consiglio Europeo di qualche giorno fa. I due paesi europei sembrerebbero intenzionati ad avviare una cooperazione nella regione nordafricana e saheliana, soprattutto al fine di risolvere il tema dei flussi migratori. Un deciso cambio di passo se si pensa alla storia di quella regione che ha visto quasi sempre Parigi e Roma posizionarsi su fronti opposti. L’idea di Draghi è quella di creare un sottoinsieme di paesi disposti ad aiutarsi tra loro ed evitare i tempi lunghissimi dell’apparato burocratico europeo e la “finta solidarietà” degli Accordi di Malta firmati a settembre 2019.