“La cala. Cento giorni nelle prigioni libiche” di Giuseppe Ciulla e Catia Catania ricostruisce – a un anno di distanza dall’evento – la triste vicenda della cattura, della prigionia e della liberazione dei 18 pescatori di Mazara del Vallo da parte del generale libico e uomo forte della Cirenaica Khalifa Haftar, sullo sfondo del Mare nostrum e della Libia.
Nove pescherecci siciliani stavano pescando a 34 miglia a largo di Bengasi quando sono stati abbordati da una motovedetta libica. Inizia così il sequestro. I pescatori cambieranno quattro diverse carceri, subendo minacce, maltrattamenti, violenze psicologiche e fisiche per ben 108 giorni. Al contempo, il volume – che fa parte della collana “Munizioni” diretta da Roberto Saviano – racconta le storie di quelle donne e quegli uomini che per settimane si sono incatenate davanti al Parlamento a Roma per chiedere giustizia, nonostante le rassicurazione del governo italiano, e di tutte quelle voci del Mediterraneo centrale, dove la pesca in sicurezza è ormai un miraggio.
Tra queste spicca la voce della madre del capitano del Medinea, Rosetta Ingargiola. La signora ha già perso un figlio in mare e non ha nessuna intenzione di abbandonare nelle carceri libiche il suo Piero. La relazione madre-figlio è il filo conduttore che lega tutte le storie narrate, riflesso di un popolo che vive di pesca e che negli ultimi anni ha sempre più timore di entrare in quelle acque. Attraverso le vicende di queste famiglie gli autori raccontano decenni di “guerra del pesce”, intessendo episodi di vita privata e pubblica della marina di questo comune italiano.
L’epilogo è storia nota. I pescatori sono stati usati come “merce di scambio” per il “ricatto” libico. La loro liberazione e il dissequestro dei pescherecci è avvenuto, infatti, soltanto dopo che i colloqui diplomatici si sono tradotti nell’incontro – con tanto di foto di rito e sfilata – a Bengasi tra l’allora Presidente del Consiglio Giuseppe Conte e il Ministro degli Esteri Luigi Di Maio con Haftar.