Di seguito riportiamo un estratto del contributo di Mario Savina pubblicato sul Forum “Il Mediterraneo allargato, una regione in transizione: conflitti, sfide, prospettive” promosso dal Centro Studi di Politica Internazionale – CeSPI:
[…] La “rivoluzione di febbraio” non è stata una rivoluzione degli islamisti, come tanti osservatori hanno invece creduto, tuttavia tale movimento ha svolto un ruolo significativo nel portare alla caduta del precedente governo. Da qui, l’Islam e la richiesta di uno Stato di diritto islamico sono diventati un tratto distintivo della rivoluzione e delle revisioni rivolte al sistema-Paese e al sistema legale della Libia. Il successo della rivoluzione è stato seguito da un rafforzamento del ruolo della legge islamica nelle immediate fasi successive agli eventi. I segni di ciò sono visibili all’interno della Dichiarazione costituzionale dell’agosto 2011 (in vigore ancora oggi), dove la legge islamica risulta essere la principale fonte di legislazione, nel rilancio della figura del Dar al-Ifta con una legge che vieta il dibattito pubblico sulle sue fatwa e obbliga tutti a rispettarle, e sul fatto che l’attuazione della Shari’a sia diventata una richiesta pubblica sposata non solo dagli islamisti ma da una buona parte della popolazione. Negli anni successivi, gli sforzi per islamizzare le leggi non hanno mantenuto lo stesso ritmo della prima fase e la scissione politica nel Paese (Est e Ovest) ha rappresentato una svolta importante in questo senso.
Ripristinare la sicurezza nel Paese nordafricano, devastato dal conflitto civile ultradecennale, è una delle principali sfide dei leader libici, ma anche della comunità internazionale. La stabilizzazione dovrà passare per forza di cose dalle urne elettorali, ma senza non prima aver risolto le criticità strutturali che ne stanno impedendo la riuscita. Tra queste, la nuova Costituzione è uno dei punti su cui le due fazioni rivali non riescono a trovare un accordo che possa permettere la nascita di un quadro giuridico valido attraverso cui far confluire le varie fasi del processo democratico. La Costituzione, come già detto, è un documento fondamentale che cerca di definire il patto sociale tra lo Stato e il suo popolo. Di conseguenza, la riforma costituzionale nel caso libico, così come in tutti quei Paesi oggetto di una transizione politica, segnala il passaggio dall’autoritarismo (di Gheddafi) ad una nuova Libia democratica. Come del resto in passato era avvenuto per la transizione dal colonialismo all’indipendenza. L’elaborazione della Costituzione durante tali periodi, provocata da una rivoluzione politica o da un conflitto civile, viene definita costituzionalismo di transizione. Lo scopo in tale fase è quello di definire i poteri dello Stato e i diritti dei cittadini, creare un sistema politico nazionale e rafforzare la stabilità del Paese. È necessario che tale processo sia il più partecipativo possibile, che implichi una partecipazione pubblica e una trasparenza diffusa. Nel caso libico è evidente come i tratti distintivi della costituzione partecipativa – processi aperti, trasparenti, pubblici e inclusivi – siano vincolati alla divisione politica che si è creata con il conflitto civile. Il processo per la redazione della nuova Costituzione è diventato un altro luogo di battaglia, in cui le due fazioni sfruttano il processo per promuovere i propri obiettivi. In tale condizione le possibilità di esacerbare piuttosto che riconciliare il conflitto sono molto elevate, e gli eventi libici lo stanno dimostrando. […]
Per l’articolo completo vi rimandiamo al seguente link: https://www.cespi.it/it/eventi-attualita/dibattiti/il-mediterraneo-allargato-una-regione-transizione-conflitti-sfide/la-1