Nei giorni scorsi Tripoli è stata nuovamente teatro di battaglia tra le milizie che sostengono Abdulhamid Dbeibah, premier del Governo di unità nazionale (Gnu), e quelle a favore di Fathi Bashagha, capo del Governo di stabilità nazionale (Gns) con sede a Tobruk. Dopo ore di combattimenti, la capitale libica è tornata stabilmente sotto il controllo delle forze affiliate al capo del Gnu, composte principalmente dalla Rada, dalla Brigata 444 e dalla Forza di sostegno alla stabilizzazione. I gruppi armati vicini a Bashagha, in particolar modo la Brigata 777 e il Battaglione 92, si sono ritirate dopo una serie di scontri che secondo le dichiarazioni rilasciate dal ministero della Sanità hanno provocato 32 morti, tra i quali molti civili, e oltre 150 feriti.
Per Bashagha si tratta di un nuovo fallimento di prendere il controllo di Tripoli e quindi del potere sull’intero paese. Lo scorso maggio il tentativo di entrata con la forza nella capitale aveva innescato scontri tra i diversi gruppi armati che si erano conclusi con il suo ritiro dalla capitale. Dbeibah ha accusato il rivale di avere innescato le violenze dopo avere rifiutato un dialogo al fine di tenere nuove elezioni entro il 2022.
Gli scontri a Tripoli rischiano di riportare la Libia a un nuovo conflitto aperto, situazione che potrebbe pesare soprattutto all’Italia. Infatti, Roma deve già affrontare l’aumento dei flussi migratori che sta caratterizzando l’estate in corso. Al contempo, una nuova guerra in Libia potrebbe causare una diminuzione delle forniture energetiche e aggravare la già delicata situazione creatasi all’indomani del conflitto scoppiato in Ucraina.