Arrivato in Libia nel 1934, inviato da Benito Mussolini a ricoprire la carica di Governatore, Italo Balbo dovette confrontarsi con un contesto politico e militare pacificato, dopo gli anni di conflitto e guerriglia che caratterizzarono l’esperienza italiana nel Paese nordafricano. In tale dimensione, il ferrarese avviò diverse iniziative che resero la sua politica diversa dai suoi predecessori e aprirono una nuova fase basata su mutamenti urbanistici, giuridici, religiosi e sociali. Un’esperienza, quella di Balbo in Libia, che si concluse tragicamente nel giugno del 1940 con la morte in volo del Governatore, ucciso per sbaglio dalla contraerea italiana nella prima fase del Secondo conflitto mondiale. Su tale periodo, di circa sei anni e mezzo (1934 – 1940), si concentra il volume “L’esilio dorato. Luci e ombre dell’operato di Italo Balbo in Libia” – recentemente pubblicato in italiano da FrancoAngeli – di Mustafa Rajab Younis, professore di Storia socio-politica contemporanea all’Università di Tripoli, che l’AIRL ha avuto il piacere di intervistare. L’opera di Younis – che descrive scrupolosamente l’arco temporale preso in esame – ci permette di comprendere il punto di vista “libico” su una fase importante e complicata dell’esperienza coloniale italiana in Libia, ma anche di confrontarsi con un argomento tanto controverso quanto delicato che ancora oggi – nel dibattito pubblico – crea non pochi malumori. Secondo Andrea Baravelli, professore di Storia contemporanea all’Università di Ferrara e autore dell’introduzione al volume, “L’esilio dorato” fornisce risposte convincenti sull’operato di Balbo nell’ex colonia, “contribuendo a chiarire quale sia stata l’opera del Governatore” e, al contempo, “ci aiuta a mettere il colonialismo italiano nella giusta prospettiva storica”.
Perché un libro sull’operato di Italo Balbo in Libia?
Perché fu una figura di un governatore coloniale e una personalità di spicco nel panorama militare e politico dell’Italia fascista. Questo ci porta a domandarci: quanti libri ci sono in Italia concentrati sulle figure dei governatori coloniali? Per quanto ne sappiamo, quasi nessuno! Ad eccezione del libro: “Verso il Fezzan” scritto dallo stesso Rodolfo Graziani con prefazione del Governatore Pietro Badoglio. L’esame della figura di Italo Balbo attraverso i suoi anni di Governatorato nel suolo libico, dovrebbe ritenersi fondamentale. Ciò ha permesso di chiarire, perlomeno, molti aspetti addirittura sconosciuti a molti (da altri volontariamente ignorati), in particolare in Italia, ed evitare che rimanessero ignoti o blindati.
Il sottotitolo del suo volume è “Luci e ombre dell’operato di Italo Balbo”. Leggendo il volume è ben chiaro cosa si intende, ma, a tal proposito, oggi che percezione c’è in Libia del periodo in cui Balbo amministrò la colonia? E degli italiani in generale?
Vorrei chiarire una cosa prima di iniziare a rispondere a questa domanda. L’argomento certamente è controverso e problematico e ho cercato di affrontarlo con equilibrio “senza lasciarsi trasportare da una giustificazione o condanna pregiudiziale della sciagurata avventura coloniale”. È inevitabile che in qualsiasi impresa ci siano luci ed ombre, ed è auspicabile che gli storici scrivano degli eventi dei quali si occupano con il metro dello storico e non del propagandista. Infatti, il sottotitolo del libro non riflette necessariamente il negativo e il positivo. Si è voluto in tal modo adottare, in questo volume, l’approccio dello studio del caso, ovvero “l’incarico africano” del Maresciallo dell’aria, ma anche il movimento più ampio in cui si muove la figura di Balbo: il colonialismo. Il giovane ferrarese non fu altro che uno di quei dominatori coloniali che rafforzarono il regime fascista in Libia. Insomma, Balbo è figlio del fascismo. Sarebbe potuto essere un’altra faccia del fascismo. Ritornando alla domanda principale. Si può dire che chi va in Libia per molti anni e chi ci vive può osservare ancora qualcosa risalente all’epoca coloniale italiana: centri agricoli, restanti parti della litoranea, palazzi, alberghi, scavi archeologici, ecc. I libici di oggi (non tutti), a prescindere dal loro riconoscimento nei riguardi dell’esistenza di una parte “illuminata” nel periodo storico preso in esame, reagiscono con sospetto a questo periodo. Essi intendono l’operato di Balbo in terra libica come il tentativo di giustificare la colonizzazione e di coprire la politica aggressiva perpetrata dal predecessore di Balbo, il Generale Graziani. Per quanto attiene invece all’impressione nei confronti degli italiani in generale, si può affermare che una vasta gamma di libici nutre un sentimento di rispetto e apprezzamento per il popolo italiano. Nonostante la sciagurata pagina coloniale, i libici vedano l’Italia di oggi come un paese geograficamente vicino ed amico della Libia, nonché legato ad essa da interessi comuni.
In generale, cosa pensa dell’affermazione secondo cui l’Italia effettivamente ebbe un importante merito nello sviluppo della Libia? Pensiamo all’edilizia urbana ed extraurbana, al sistema infrastrutturale, ecc.
Portando i vari punti di vista nel tentativo di analizzare i progetti realizzati in alcuni settori chiave del contesto libico: più in particolare l’aspetto urbanistico-infrastrutturale, si può dedurre come la scuola di pensiero coloniale abbia cercato di dare un quadro propagandistico della storia dell’occupazione fascista (italiana) in Libia, essendo un colonialismo moderno ed evoluto. Valga un esempio: con i progetti di sistemazione della città tripolina, sembra quasi che Balbo volesse rendere la sua Tripoli paragonabile allo splendore e alla bellezza della Roma di Mussolini, nonché rendere la capitale libica competitiva con le altre capitali coloniali limitrofe, come per esempio il Cairo, Algeri e Tunisi. Infatti, Mussolini teneva molto al fatto che l’Italia potesse vantare colonie fiorenti nel Mediterraneo, quindi non si può escludere del tutto l’ipotesi che il duce volesse, attraverso l’opera di ammodernamento attuata da Balbo, darle un volto nuovo, moderno e al pari dei possedimenti delle altre potenze europee.
Gli studi storici hanno rivelato che uno dei peggiori errori del colonialismo italiano fu quello di proibire ogni forma di istruzione, limitando al massimo la frequenza fino alla quinta elementare. Tuttavia, in Libia durante il governatorato di Balbo si registrò un notevole incremento delle scuole per gli arabi al quale seguì un aumento degli alunni “locali” negli istituti. Come vede lei questa scelta del Governatore? E in che quadro si inserisce? Effettiva apertura o necessaria “integrazione”?
Molti, infatti, riconoscono le capacità organizzative e la forza decisionale del governatore ferrarese in merito al settore istruttivo indigeno. Di sicuro Balbo si trovò in una situazione fortemente pacificata dopo la fine della resistenza libica, permettendo un ragguardevole miglioramento quantitativo e qualitativo delle scuole per gli arabi rispetto agli indirizzi
precedenti. Sotto il profilo politico, le scuole sarebbero divenute strumenti di disciplinamento ideologico utili a consolidare il regime e a incentivare la politica di collaborazione tra gli italiani e gli arabi della Libia o, quantomeno, tra quelli e coloro che erano disposti a collaborare. Da un punto di vista pratico, i libici più istruiti avrebbero potuto rappresentare, in seguito a queste azioni ministeriali, la manodopera intellettuale del regime fascista. E ciò perseguendo anche l’obiettivo di “fascistizzare” il campo scolastico, per ribadire il completo controllo del regime mussoliniano su ogni aspetto della vita sociale. L’opera di italianizzazione dei libici, in definitiva, fu senza dubbio uno degli obbiettivi delle scuole italiane. Generalizzando, si può dire che le scuole elementari rappresentarono senza dubbio l’attuazione di un’enorme propaganda per il governo fascista. Attraverso le scuole, Balbo intese offrire l’Italia fascista come prototipo politico-sociale per gli abitanti locali della Libia, così come per il resto delle colonie italiane in Africa. Ma la realtà in questo campo risulta finora incerta, a causa del fatto che le colonie italiane erano generalmente considerate fra le più decadenti e meno sviluppati tra quelle europee.
Sempre sul tema dell’istruzione, come era quella femminile ai tempi di Balbo?
Si tratta di un aspetto molto delicato, se si considera la realtà tradizionale libica, la quale impediva alle ragazze di accedere all’istruzione ufficiale di stampo italiano: laica. La delicatezza di questa faccenda si rese manifesta sin dalla legge istituzionale per gli indigeni del 1919. Essa sanciva solo l’istruzione obbligatoria per i ragazzi, ma non si rivolgeva alle ragazze, la cui istruzione rimaneva facoltativa.
Le misure del governo Balbo per la scolarizzazione delle ragazze autoctone furono prudenti e avrebbero potuto anche essere strategicamente efficaci. Le scuole che secondo le sue riforme avrebbero accolto il pubblico femminile, infatti, erano esclusivamente professionali, e andarono sotto il nome di “scuole delle ragazze per l’istruzione e per il lavoro”. I programmi didattici, quindi, prevedevano l’insegnamento precipuo di quelle attività che per tradizione erano destinate alle femmine, quali ricamo, tessitura, cucito, varie lavori manuali ecc., tuttavia la finalità di questi istituti femminili era essenzialmente para-medica. Sotto questo aspetto, il primo atto del governatore ferrarese consistette nella scuola “per infermiere musulmane” di Tripoli. L’obiettivo primario era quello di formare prevalentemente delle valide infermiere. Insomma, probabilmente Balbo sapeva che solo in questo modo avrebbe potuto ottenere il consenso delle famiglie indigene e l’adesione, almeno nella fase iniziale del progetto, di un numero incoraggiante di iscrizioni.
Alcuni studiosi e critici hanno sottolineato l’apertura di Balbo alla sfera religiosa islamica. E’ vero che ci fu questa particolare attenzione? Rientrava negli scopi politici italiani? E come venivano gestite le scuole coraniche sotto l’occupazione?
Infatti Balbo stette molto attento a garantire la centralità della religione mussulmana in Libia e fu abilissimo nell’evitare che potessero esserci frizioni e attriti tra la cultura islamica e le istanze politiche e ideologiche propugnate dal fascismo. La politica filo-islamica del governatore ferrarese venne propagandata persino negli insegnamenti didattici e scolastici, nonché inserita in maniera influente nei testi di scuola e di storia per indigeni, “così come nelle scuole italiane coloniche che prevedevano l’insegnamento della dottrina musulmana”. L’Italia tentò questa via enfatizzando una significazione filo-islamica delle sue opere di azione sul territorio e sul tessuto sociale libico. Era infatti indispensabile adoperarsi per rendere il popolo musulmano della Libia la base logistica per l’intrattenimento di qualsiasi tipo di rapporto amichevole verso l’intero mondo islamico. Quanto alle “scuole religiose tradizionali”, dette i Katatib, il governo Balbo, infatti, non mostra il bisogno di sottoporle alla sua diretta vigilanza, preferendo esercitare su di esse un controllo informale. L’autorità italiana comprese quanto sarebbe stato controproducente ogni tentativo volto a inserire l’educazione tradizionale religiosa all’interno del sistema governativo di stampo laico. L’intento di Balbo fu quello di aggiungere il metodo d’insegnamento religioso, rendendolo più consono alle esigenze e all’ideologia fascista. Dunque egli creò a Tripoli un ente formativo superiore, nella fattispecie “la Scuola Superiore di Cultura Islamica”, dalla quale sarebbero usciti dirigenti, funzionari, giudici, religiosi, guide spirituali coraniche, insegnanti ecc. Tutti questi, pur seguendo le tradizioni coraniche e i principi dell’Islam, sarebbero stati una classe dirigente molto vicina al governatore, in quanto soggetta a questo e al suo pressoché totale controllo sociale sulla popolazione libica.
Dalle interviste che ha avuto modo di raccogliere e dalle fonti archivistiche che ancora esistono in Libia, è possibile determinare il livello di integrazione esistente sotto il periodo coloniale tra le diverse comunità presenti nel paese?
Stando alle fonti coeve, il livello di integrazione fra questi componenti era basso. Queste collettività, ad eccezione di rari casi, non avevano niente in comune né la religione, né ideali politici. Tuttavia non poteva di certo venir trascurato il grado di interrelazione e il bisogno di integrazione di cui necessitava la quotidianità tra queste composizioni etnici della Libia soprattutto con coloro che non davano importanza alla segregazione razziale o alle discriminazioni. “Si consideri, per esempio, l’insieme di ambiti che vanno dal settore commerciale, agricolo e dei trasporti, a quello del lavoro artigianale, come la meccanica, la falegnameria, i presidi sanitari e altri servizi”.
L’AIRL riunisce gli italiani espulsi da Gheddafi nel 1970, dopo avergli confiscato tutti i beni e le proprietà. Che idea si è fatta di quella scelta e di quell’evento?
Purtroppo il caso della cacciata e del rimpatrio “forzato” della maggioranza degli italiani verso la terra d’origine costituisce un duro trauma che si è protratto a lungo nella memoria di molti, se non tutti, profughi sfollati dalla Libia. In realtà, la questione è molto delicata e complessa. Tuttavia appare legittimo dire che questo problema è ancora da discutere. Quindi, da una prospettiva libica, e con viva attenzione prestata alle varie voci del dibattito critico, alla documentazione archivista e alle testimonianze dirette e indirette dell’epoca, questo evento sarà analizzato approfonditamente nel mio prossimo libro. Un volume che parlerà degli italo-libici fino al periodo in cui venne emessa la risoluzione di espellere definitivamente la comunità italiana dalle terre libiche.
Ultima domanda sull’attualità. Dopo il periodo coloniale italiano si raggiunse l’indipendenza: per quasi un ventennio il Paese fu governato dalla monarchia di re Idris, per poi nel 1969 assistere alla presa di potere di Gheddafi. Quest’ultimo governò per oltre 40 anni. Dalla sua morte nel 2011 la Libia è caduta nel caos. Come vede il futuro del suo Paese?
In realtà il mancato impegno nello sviluppo di un programma preciso che offre una soluzione anche ai presunti problemi, compositi dai suoi molteplici aspetti politici, socio-economici, e, non ultimi, militari, rifletteva una discordanza della politica globale nei confronti di questo paese. Il grande e significativo problema, strettamente legato al deterioramento che vive il paese, sarebbe rappresentato anche degli interventi esterni (di stampo negativo) ben penetrati nel palcoscenico libico. Insomma, sebbene nessuno possa prevedere la realtà (il futuro) in cui la Libia si sarebbe trovata, sembra tuttavia che, almeno in apparenza, il paese stia andando gradualmente verso la riconciliazione. Quindi, a mio modesto parere, tutti i protagonisti diretti e indiretti dello scenario politico libico alla fine (anche se in proporzioni diverse) finiranno per dividersi la “torta”.
Mario Savina, analista ricercatore, si occupa di Nord Africa e flussi migratori. Sapienza Università di Roma, AIRL Onlus – Italiani di Libia, OSMED – Osservatorio sul Mediterraneo (Istituto “S.Pio V”)