Sono trascorsi oltre due anni da quel 24 dicembre 2021 in cui si sarebbero dovute svolgere le elezioni e, tuttavia, la Libia continua a navigare nell’ignoto. Le urne elettorali appaiono ancora un miraggio, mentre le voci di un possibile nuovo governo di unità nazionale transitorio complicano, ulteriormente, un quadro di per sé poco stabile.

Durante un incontro convocato dal segretario della Lega araba, Ahmad Aboul Gheit, in Egitto, i responsabili delle principali istituzioni libiche hanno sottolineato la necessaria formazione di un nuovo esecutivo di unità nazionale che possa accompagnare il paese alle urne. Altresì, il presidente del Consiglio presidenziale (Cp), Mohamed al-Menfi, il presidente della Camera dei rappresentanti (HoR), Aguila Saleh, e il presidente dell’Alto consiglio di Stato (Hcs), Mohamed Takala, hanno concordato di promuovere la sovranità, l’indipendenza e l’integrità territoriale del loro paese e di respingere qualsiasi interferenza esterna ostile nel processo politico in corso. Secondo il comunicato rilasciato dall’organizzazione araba, verrà formato un comitato tecnico che tenterà di superare gli ostacoli che hanno causato lo stallo politico attuale. Tuttavia, per la finalizzazione dell’intesa si dovrà attendere un secondo ciclo di colloqui. La missione delle Nazioni unite in Libia (Unsmil), guidata dal diplomatico senegalese, Abdoulaye Bathily, supporterà tale iniziativa, nonostante le evidenti difficoltà con cui si scontra dall’inizio del suo mandato.

Ciò che tuttavia richiama l’attenzione è l’assenza ai colloqui al Cairo del premier del Governo di unità nazionale (Gnu), Abdulhamid Dbeibah. La posizione del premier misuratino, nonostante l’apparente isolamento dopo i colloqui citati, sembra ancora oggi stabile, così come lontano appare una sua possibile sostituzione. Diversi attori regionali e internazionali, Egitto compreso, hanno espresso pareri favorevoli sulla formazione di un nuovo governo, ma player fondamentali come Turchia ed Emirati Arabi Uniti non sembrano ancora aver abbandonato l’attuale governo di Tripoli e il suo leader. Lo stesso Dbeibah ha più volte rimarcato la sua volontà di dialogare con tutti gli attori politici e la sua ferma decisione di accompagnare il paese alle elezioni. In questo senso, il mancato accordo ufficiale – dimostrazione della distanza ancora in essere tra le parti – al Cairo gli permette di guadagnare ulteriore tempo.

Infatti, come ha dichiarato Bathily durante il suo briefing al Consiglio di sicurezza dell’Onu, i principali attori libici non sono ancora pronti a risolvere le questioni controverse, nonostante i passi in avanti per il completamento del quadro giuridico e costituzionale per le leggi elettorali. L’inviato onusiano ha elencato il punto di vista degli attuali decisori politici  del paese maghrebino, evidenziandone le distanze e la complessità: per Aguila Saleh è fondamentale la formazione di un nuovo governo di unità che possa accompagnare il paese alle urne; Dbeibah è deciso a non voler lasciare il suo incarico fino allo svolgimento delle elezioni; Takala rifiuta il pacchetto di leggi elettorali pubblicati dall’HoR e preme per un ritorno al progetto concordato dal Comitato misto 6+6 a Bouznika; Khalifa Haftar insiste sul coinvolgimento del Governo di stabilità nazionale (Gns) – nonostante l’irrilevanza di questo esecutivo nel dialogo per il futuro del paese – nel tavolo per il dialogo nazionale proposto dall’Unsmil. Il Gns, recentemente, ha infatti dichiarato persona non grata Bathily per le sue “intromissioni” negli affari libici.

Sul fronte della sicurezza, i gruppi armati e i loro leader continuano a essere determinanti in qualsiasi sviluppo nel paese e la loro ascesa fino ad oggi è stata di ostacolo agli sforzi volti a unificare e riformare il settore della difesa e dell’ordine pubblico, processo fondamentale per una democratizzazione definitiva. L’avvio della riunificazione dell’apparato militare permetterebbe un miglioramento in termini di sicurezza sull’intero territorio e porrebbe fine alla lotta di interessi che oggi caratterizza il dialogo tra i diversi gruppi armati attivi. Su questo tema, il ministro dell’Interno del Gnu, Imad Trabelsi, ha dichiarato che, dopo un lungo periodo di trattative, le milizie presenti nella capitale hanno accettato di lasciare le strade della città dopo il mese di Ramadan. Tra gli interessati si registrano la 444th Combat Brigade, la Stability Support Apparatus, la Rada e altre milizie di supporto alle autorità. La decisione arriva dopo i violenti scontri che hanno caratterizzato la regione occidentale negli ultimi mesi che, secondo Trabelsi, sarebbero stati fomentati dalle dispute politiche a livello nazionale.

L’istituzionalizzazione delle milizie risulta essere una delle principali sfide da affrontare per la nuova Libia, oltre che tra i principali ostacoli all’avanzamento del processo politico. Il loro rafforzamento, dal 2011 a oggi, ha visto una notevole acquisizione di esperienza militare, politica ed economica. Infatti, nelle località/aree in cui operano la loro attività è ben radicata anche nel quadro amministrativo ed economico. Sebbene in passato abbiano avuto un ruolo politico di secondo piano, il loro peso nel raggiungimento di un accordo sul cessate il fuoco e nella formazione dei governi di unità nazionale è stato rilevante. Inoltre, con l’aumento del loro peso militare hanno acquisito sempre più peso politico, in particolar modo a Tripoli. In tal senso, parlare di milizie e gruppi, nella maggior parte dei casi, risulta altamente riduttivo visto il ruolo giocato nell’attuale contesto.

I gruppi armati in diverse circostanze sono stati accusati di violazione dei diritti e abuso di potere. Come riporta il World report 2024 di Human Rights Watch, in Libia nell’ultimo anno si è continuato a reprimere le organizzazioni della società civile e a commettere violenze impunemente. Così come resta sfuggente la giustizia dopo il disastro di Derna. Infatti, nonostante l’avvio di procedimenti giudiziari, funzionari e comandanti di alto rango e membri di potenti gruppi armati non sono stati indagati e perseguiti. Secondo Amnesty International, le due autorità rivali hanno gestito male la risposta, omettendo di indagare sulla responsabilità di coloro che occupano posizioni di potere. Sebbene abbiano fornito un risarcimento finanziario alle migliaia di persone colpite, tale processo è stato rovinato dai ritardi e dall’esclusione discriminatoria di rifugiati, migranti e residenti libici di Derna sfollati nella Libia occidentale.

Per concludere, la stabilizzazione definitiva dell’ex colonia italiana non sembra essere un traguardo raggiungibile nel breve periodo. Allo stato attuale, la tutela degli interessi degli attori locali e internazionali risulta essere ancora il fine principale. Mentre la popolazione naviga nell’ignoto, non avendo nessuna idea di ciò che potrebbe accadere nel prossimo futuro, il dialogo nazionale continua ad essere caratterizzato da “accordi vuoti” che non permettono un vero e proprio avanzamento verso quella rinascita del paese che i libici cercano dall’ottobre del 2011.