Luigi di Savoia, Beda Littoria, Garibaldi, Baracca, Marconi, sono i nomi di alcuni villaggi della Libia, da noi denominata Quarta Sponda, con le sue quattro soleggiate e ridenti provincie di Tripoli, Misurata, Bengasi e Derna. Ben ventimila agricoltori italiani nel 1938 e undicimila nel 1939 raggiungono la Libia e si sistemano nei centri rurali, detti anche villaggi agricoli, realizzati ndal governo italiano per assorbire l’esubero della popolazione nel nostro Paese. Sono località organizzate con case e diversi servizi di utilità pubblica, reti elettriche, acquedotti, strade e trasporti.

Alcune di queste case sono pronte e disponibili ancor prima del 1938 e sono subito assegnate a famiglie di agricoltori italiani già presenti in Libia. Il programma dell’Italia prevede l’accoglienza di centomila agricoltori scaglionati in trasferimenti annuali di ventimila persone per 5 anni. Si tratta di coloni, di colonizzatori, cioè di lavoratori e non di colonialisti. Sono persone chiamate a portare in Libia con umiltà le loro braccia e la nostra civiltà. Provengono dalle campagne povere del Veneto, dell’Emilia, della Puglia e della Sicilia. Scrive Laura Ricci (in La lingua dell’Impero, pagina. 204, Carrocci Editore): “I nomi assegnati a questi nuovi villaggi, del tutto indifferenti alla storia, alla tradizione e al contesto locale, esaltano invece la memoria storica italiana e l’epopea nazionalistica, nei personaggi che l’hanno rappresentata dal Risorgimento (Garibaldi, Mameli, Tazzoli, e, in senso lato, anche Pietro Micca, eroe settecentesco) al fascismo (Berta, Bianchi, Gioda, Razza), passando per la Grande Guerra (Baracca, Battisti, Maddalena) e l’irredentismo (Filzi, Oberdan, Sauro). Non manca, inoltre, l’omaggio ai due maggiori rappresentanti dell’ideologia nazionalista (Corradini, D’Annunzio)“.

Indico qui di seguito tutti i villaggi, quanto meno come doveroso omaggio ai tanti italiani che in Libia sono nati o sono emigrati, che in Libia hanno lasciato gli amici, i loro cari scomparsi, i loro beni, le loro case; che la Libia hanno tanto amato e hanno ancora nel cuore come testimoniano i ricordi di Corona Cason pubblicati su questo stesso giornale. Eccoli tutti all’appello:

In Tripolitania

In provincia di Tripoli: Azizia – Fonduco – Oliveti – Bianchi – Hascian – Giordani – Micca – Tarhuna – Tazzoli – Corradini – Marconi – Breviglieri

In provincia di Misurata: Crispi – Gioda – Garibaldi

In Cirenaica

In provincia di Bengasi: Maddalena – D’Annunzio – Baracca – Oberdan – Filzi – Sauro

In provincia di Derna: Razza – Luigi di Savoia – Berta – Battisti – Mameli – Beda Littoria (suggestivo villaggio situato fra Cirene e Derna, a circa 700 metri sul livello del mare).

Sono realizzati anche otto villaggi agricoli destinati ai musulmani: Mahamura (Fiorente) e Nahima (Deliziosa) in Tripolitania e El-Fager (Alba), Gedida (Nuova), Kadra (Verde), Mansura (Vittoriosa), Nahiba (Risorta) e Zahra (Fiorita) in Cirenaica.

In ogni villaggio, poco distante dalle case, esiste un centro urbano con il municipio, la scuola, l’ambulatorio con i servizi sanitari, la chiesa, la moschea e qualche negozio. Le note vicende della guerra, le avanzate e le ritirate delle nostre truppe impongono a tutti gli abitanti e a tutti i coloni, soprattutto della Cirenaica, l’abbandono delle loro case con mobili ed arredi, attrezzature agricole, scorte, bestiame e quant’altro. Si tratta di un abbandono triste, senza speranza, senza ritorno. I toponimi italiani non esistono più. Scompaiono, completamente cancellati dopo la guerra del 1940/1945. Tornano i nomi di prima: Beda Littoria riprende la denominazione di Zawia Al Bayda, Luigi di Savoia cambia in Al-Abraq, Giovanni Berta è di nuovo Al Gubba, Luigi Razza Ain Messa, Maddalena Al- Awilya, Corradini Al-Ganima e così via. Il villaggio Mameli prende un nome nuovo, quello di Omar Al Mukhtar, eroe indiscusso della resistenza indigena, impiccato pubblicamente da Rodolfo Graziani nel 1931.

Nel 1970 anche gli italiani sopravvissuti alla guerra e rimasti in Tripolitania sono espropriati di tutto da Gheddafi e cacciati via in modo piuttosto violento. Anche questi senza ritorno, nonostante le promesse e tanta speranza.

 

Di Valerio Cappello.

Pubblicato su Italiani di Libia 1-2013