La situazione politica internazionale globale è andata deteriorandosi sempre di più negli ultimi mesi. In particolare, le due aree, prossime all’Italia e alla Libia, nelle quali da diverso tempo si è aperto un conflitto di violenza bellica e terroristica senza precedenti – Ucraina e Israele/Palestina – non cessano di inviare al mondo messaggi inquietanti di una negazione di ogni volontà di pace. Ciò sta avvenendo al netto dell’esito, oramai definito, delle elezioni americane.

La Libia, dal canto suo, già teatro di una instabilità politica, economica e sociale più che decennale, si trova nel centro di un’area nella quale i principi di democrazia sono messi costantemente a dura prova, come evidenziato dal nostro Mario Savina. Se sia in atto un processo dal quale l’autoritarismo soppianterà nuovamente il parlamentarismo, lo dirà probabilmente la storia, ma il fatto che anche in Tunisia, oramai, prevalgano astensionismo e scelta della personalità “forte”, per non dire autoritaria, fa pensare che il bilancio della cosiddetta “primavera araba”, si sia dimostrato, senza tema di smentita, fallimentare.

Per la Libia, il risultato di quanto descritto rende particolarmente difficile il cammino futuro. Gli scenari possibili sono tre: uno stato permanente di instabilità politica e sociale, caratterizzato da aree territoriali che continuano ad essere divise e sotto una sostanziale influenza politica internazionale (con Egitto, Turchia, Russia ed Emirati a recitare la parte principale); la scelta di consegnarsi ad una personalità forte e autoritaria che all’apparenza dia al paese uno status di autonomia dalle influenze straniere, ma impossibile a muoversi senza l’appoggio e la sponsorship politica di uno o più di questi paesi.

Per quanto riguarda il terzo scenario, l’Organizzazione delle Nazioni Unite – neanche in Libia, come altrove del resto – è finora stata in grado di mettere in campo soluzioni che appaiano forti, durature e inattaccabili. Le istituzioni create sotto l’egida dei negoziati multilaterali faticano ad imporsi, e sembrano davvero ancora molto fragili. Andrebbero sostenute, si pensa, con maggior forza e determinazione. Ma da chi?

In particolare, infatti, andrebbe annotata, oramai, la ritirata strategica dell’Occidente da ogni ruolo di influenza significativa sulla politica libica. Tutto sembrerebbe deporre, come già diverse volte avvenuto, per conferire all’Italia un ruolo di più alto profilo nelle sue relazioni con il governo di Tripoli, con maggiori margini di manovra rispetto al passato, nell’intento di coprire un vuoto che la congiuntura internazionale – tutta presa da crisi che sembrano essere di estrema gravità – ha acuito in modo preoccupante. Tuttavia la storia, anche quella più recente, ci insegna che iniziative troppo decise e intraprendenti prese dal governo italiano in Libia possono destare preoccupazione e allarme in alcuni ambienti internazionali e in alcune cancellerie.

Questo obbliga dunque il nostro governo ad attuare azioni soft e ad accompagnare quello che è un naturale orientamento alla cooperazione reciproca, presente sulle due sponde del Mediterraneo – come si evince dalla vitalità del recente Business Forum Libia-Italia, raccontato dal nostro Marco Tricomi – con uno sguardo benevolo e accondiscendente, senza promuovere alcun nuovo passo istituzionale che non rientri nella mera risposta, business as usual, a poche richieste che i nostri amici libici possono fare all’Italia, e dunque all’Europa, per ritornare ad una serena normalità unitaria e nazionale.

La Libia ha bisogno di riacquisire questa normalità, una ritrovata stabilità e quotidianità, nelle quali si possano anche armonizzare e smussare le pressioni straniere, in un ritrovato e rinnovato pluralismo dei rapporti internazionali, che proprio le autorità di Tripoli dovrebbero poter intraprendere e promuovere a loro beneficio, e soprattutto a beneficio di una popolazione stremata, sia in una dimensione bilaterale che multilaterale.

L’Italia è lì davanti. Il mare di Tripoli è anche il “mare nostrum”, e non di qualcun altro. Del resto la geografia è un fatto naturale. Se non sarà l’Italia a recitare un ruolo, non sarà nessun altro. Per dirla meglio, nessun altro paese potrebbe interpretare quel ruolo, di partner e di fratello mediterraneo, come possono fare l’Italia e gli italiani. Gli Italiani di Libia lo sapevano bene, e ora lo sanno anche i loro figli, nipoti e pronipoti, che stanno confluendo recentemente nella nostra associazione, forti di quella identità e quella memoria, che l’AIRL continua a coltivare, con cura e con devozione. Si veda la dichiarazione di “interesse storico” che fa il Ministero della Cultura riguardo al prezioso archivio che abbiamo saputo amministrare e arricchire per tutti questi anni.

Dunque, il perdurare del caos politico-istituzionale libico denuncia un vuoto, che non si potrà colmare se non con lungimiranza e prudenza. E occorre che l’Italia si muova con tattica tempestiva ma con nessuna strategia, o almeno alcuna che sia troppo appariscente o risonante. Ma che sia tattica o strategia, qualunque azione che il Governo italiano voglia svolgere in Libia in futuro, questa non potrà mai prescindere dalla memoria di una attività svolta nei decenni, che ormai hanno superato il secolo di storia, dalla presenza concreta e fattiva, laboriosa e produttiva, fatta anche con sacrificio e rinuncia, degli italiani.

Ultimamente – va detto, purtroppo – i segnali di questa memoria dal lato istituzionale, latitano. La legge sugli indennizzi non è stata completamente rispettata. La già magra riparazione dei danni subiti, che hanno visto schierati in prima linea i presidenti Rodrgio Giannò – si legga la commovente la lettera di sua figlia Isabella – e Giovanna Ortu, è stata persino decurtata.

Una rinnovata azione in Libia, anche sul piano meramente culturale o affettivo, non potrà prescindere dalla memoria di quella che è stata una reale presenza e una volenterosa attività produttiva che gli italiani hanno saputo esprimere e realizzare. Solo la memoria di quella che è stata l’impronta italiana in Libia – di cui l’AIRL custodisce tutti i rivoli – potrà fornire agevolmente significato e contenuti a nuove politiche, a una nuova cooperazione e a nuovi partenariati, e permetterà di costruire il senso e la direzione delle dichiarazioni, delle firme, degli accordi conclusi. Siamo orgogliosi di rivendicarlo, anche in un momento difficile come questo appare, per noi, per la Libia, l’Italia, l’Europa e il Medio Oriente.

 

Di Andrea De Angelis, Direttore di Italiani di Libia

Articolo pubblicato su Italiani di Libia 2-2024