La sera del 21 dicembre del 1988 una bomba esplose all’interno di un Boeing 707 della Pan Am, decollato poco prima da Londra e diretto a New York. L’aereo si spezzò in due, e parte della fusoliera con novanta tonnellate di carburante precipitò sul villaggio di Lockerbie, in Scozia, creando un enorme cratere e una scossa sismica rilevata in tutta Europa. Morirono 270 persone, compresi undici abitanti del paese dove erano caduti i frammenti. Fu la più grave tragedia aerea dovuta a un attentato. I residui del relitto, e la famosa scatola nera, rivelarono la causa del disastro. Poco dopo, gli investigatori scoprirono che l’ordigno era stato inserito in un mangianastri simile a quello sequestrato un paio di mesi prima dalla polizia tedesca a due terroristi mediorientali. Il mondo, già provato da altre sciagure simili, questa volta inorridì e reclamò un colpevole, Come spesso accade in questi casi, quando l’emozione – e l’interesse – prevalgono sul raziocinio, ognuno indicò il responsabile che più gli era gradito: i palestinesi, il Mossad, il Kgb, gli iraniani e naturalmente la Cia. Quale fosse l’interesse degli occidentali a massacrare quasi trecento concittadini era un mistero: ma se pensiamo che ancora oggi qualche stregone predica che le Torri gemelle furono abbattute da Bush, non ci stupiamo di nulla. Sta di fatto che allora, come era avvenuto per Ustica, grande fu la confusione sotto il sole.

 

IL PRECEDENTE

 

Il primo indiziato era, naturalmente, il colonnello Gheddafi. Non solo perché aveva espressamente esaltato e patrocinato una serie di odiosi atti terroristici, tra cui la strage in una discoteca di Berlino avvenuta due anni prima, ma perché aveva giurato vendetta al presidente Regano dopo che quest’ultimo, esasperato dalle reiterate sanguinarie fanfaronate del satrapo libico, gli aveva spedito una cinquantina di missili come monito salutare. Uno dei razzi “intelligenti” era entrato diritto in casa sua. Pare che il dittatore si fosse appena messo in salvo avvertito da un amico, probabilmente italiano. Lanciatisi in questa pista, inglesi e americani individuarono dopo tre anni i responsabili in Abd El Basset Ali al-Meghrai, ufficiale dei servizi segreti libici e formalmente capo della sicurezza della Libyan Airways, e in Lamin Fhimah, impiegato della stessa compagnia aerea nell’aeroporto di Malta, dove era stata imbarcata la valigia con il mangianastri e l’esplosivo. Allora era possibile che il bagaglio viaggiasse separatamente. Oggi, se un malintenzionato vuol fare la stessa cosa, deve volare con l’ordigno nella stiva, e morire assieme agli altri. Un’ipotesi che, visti gli aspiranti suicidi, non è comunque affatto da escludere.

 

L’ESTRADIZIONE

 

Megrahi fu incolpato della strage. La Gran Bretagna chiese l’estradizione, che naturalmente non fu concessa. Tuttavia il clamore e l’indignazione erano tali per cui, dopo vari anni, il Colonnello consegnò l’imputato alla giustizia. Megrahi fu processato da una corte olandese e condannato all’ergastolo, malgrado le sue pretese d’innocenza e l’oggettiva ambiguità delle prove a suo carico; Fhimah, invece, fu prosciolto. Nel frattempo Gheddafi era cambiato: ai suoi nemici storici  – gli occidentali e i “sionisti” – si erano aggiunti, e forse sostituiti, i vari gruppi arabi dissidenti. Le sue preoccupazioni non erano più quelle di una volta da parte dei fanatici estremisti musulmani. In questo clima, Gheddafi accettò, nel 2003 di risarcire le vittime della strage. Se non fu una confessione di colpa penale, fu almeno una manifestazione di buona volontà. In effetti la sua responsabilità politica era fuori discussione. Per anni aveva predicato odio e vendetta, incitando alla guerra santa e finanziando terroristi di mezzo mondo, dall’Eta basta all’Ira irlandese; anni dopo due importanti politici della Libia, l’ex ministro della Giustizia e l’ex ambasciatore dell’Onu, ammisero che l’ordine della strage era partito proprio dal Colonnello. Comunque Megrahi, malato di cancro, fu liberato per motivi umanitari nel 2009, poco prima della sua morte. Fino all’ultimo si proclamò innocente e proprio in questi giorni i suoi famigliari stanno chiedendo la revisione del processo. Anche qui, come per Ustica, continuano le polemiche.

 

 L’INERVENTO

 

Per quell’ironia della Storia che tanto ha appassionato i filosofi, Gheddafi fu punito non per i crimini propri ma per la stupidità altrui. Nel 2011 la Francia di Sarkozy, assecondata da un inavveduto Barak Obama, gli scatenò una guerra cosidetta di liberazione, che lo indusse alla sconfitta, alla cattura e alla morte. Gheddafi era ancora un dittatore ma non era più un terrorista; al contrario manteneva, sia pur con gli approssimativi metodi del califfo, l’ordine e la pace interna. Con la sua scomparsa, la Libia cadde nelle mani dei militari ancora più spregiudicati e certamente meno competenti del pittoresco colonnello. Ne seguirono massacri e emigrazioni di cui ancora oggi l’Italia subisce le conseguenze. Fu un peccato che Sarkozy non conoscesse questa edificante novelletta dal suo illustre concittadino Anatole France, che riassumo in due parole. Il tiranno di Siracusa sorprende una vecchiarella mentre prega affichè lui viva a lungo. “Come – le chiede il tiranno – tutti mi odiano e tu invochi gli dei perché mi proteggano?”. “Certo, – risponde la nonnina – perché nella mia lunga vita ho visto succedersi tanti governanti, e quelli dopo erano sempre peggio di quelli di prima. E benché tu sia peggio dei precedenti, tutto mi fa supporre che il tuo successore sarà peggio di te”. Un saggio principio che spesso vale anche nella democrazia.