Nei saloni dell’Eliseo, circondato dai fratelli nemici della Libia, tra i rappresentanti dei paesi vicini e dei governi che appoggiano le varie fazioni, Emmanuel Macron fa leggere in arabo una dichiarazione comune. Alla fine niente firma ufficiale, la road map auspicata da Parigi non viene sottoscritta dalle parti ma soltanto approvata a voce dai vari leader presenti. «Bene, quindi tutti lavoreranno insieme su questa base», sentenzia il presidente francese una volta terminata la lettura, congedando gli ospiti, tra cui i due storici rivali, il premier Fayez Serraj e il generale Khalif Haftar, affiancati dal presidente del Parlamento, Aguila Salah, e da quello del Consiglio di Stato, Khaled al-Mishri. Il testo su cui i protagonisti libici si sono messi d’accordo prevede di organizzare elezioni legislative e presidenziali il 10 dicembre. «Abbiamo un calendario, una procedura e un impegno delle parti, siamo usciti dalla paralisi, il passo compiuto è storico», commenta Macron, sottolineando che nelle prossime settimane si avvierà il dibattito politico e giuridico. La dichiarazione comune rappresenta una «garanzia internazionale per questo processo», dice il presidente francese riconoscendo però che la mancata firma è stata condizionata dal fatto che le varie parti non hanno riconoscono tra di loro la legittimità politica. Un dettaglio non da poco, che dimostra quanto la strada verso una riconciliazione nazionale sia ancora tutta in salita. Nonostante i toni solenni, pesano ancora molte incognite, a cominciare dall’assenza dei rappresentanti di Misurata che hanno scelto di disertare l’incontro. Il vertice internazionale, al quale erano rappresentati una ventina di paesi della regione e membri del consiglio di sicurezza dell’Onu, segna comunque un punto a favore nell’accreditare Macron come mediatore in Libia dove la Francia ha giocato un ruolo cruciale, conducendo sette anni fa la guerra contro il regime di Gheddafi. Essere riusciti a fissare una data per le elezioni, ha spiegato il leader francese, è già considerato un successo diplomatico, anche se l’ipotesi era già oggetto dei negoziati portati avanti dall’inviato dell’Onu, Ghassan Salamé. «Siamo ottimisti», ha commentato Salamé secondo cui il vertice è stato «fondamentale». Il vertice di Parigi ha strappato anche l’impegno a unificare le istituzioni divise tra Tripoli e Tobruk mentre la Camera dei Rappresentanti dovrebbe essere trasferita a Tripoli. Restano da fissare le basi giuridiche del voto, a cominciare dalla riforma costituzionale, che potrebbe essere oggetto di referendum, e dai futuri poteri del presidente, figura che attualmente non esiste. I leader libici hanno promesso di mettersi d’accordo entro il 16 settembre ma i negoziati sono ancora in alto mare ed è probabile che l’intero percorso subisca ritardi. Nella dichiarazione finale viene sottolineato che «non sarà tollerato nessun ostacolo» al processo elettorale e che gli eventuali responsabili «dovranno renderne conto». Non si parla di sanzioni ma, secondo i diplomatici francesi, è un primo passo per creare una cornice comune che impegni non solo i dirigenti libici ma anche gli altri attori politici nella regione, a cominciare dall’Egitto, il Qatar, la Turchia e l’Unione africana che hanno partecipato al summit di Parigi.

 PARIGI COLMA IL VUOTO DI ROMA

Al vertice di Parigi i quattro leader libici presenti non hanno voluto firmare impegni scritti perché hanno posizioni diverse ma hanno voluto offrire un omaggio politico al padrone di casa, il presidente Macron, che così è riuscito a far riconoscere alla Francia il ruolo di potenza europea più attiva nel Nord Africa. In questa fase della crisi post Gheddafi, Parigi è la capitale che con maggiore intensità agisce per triangolare sul piano politico, economico e militare la gestione di un processo che incrocia il futuro del Maghreb, la lotta al terrorismo nel Sahara e gli equilibri nel mediterraneo. Per conquistarsi questo ruolo Macron ha messo in piedi una conferenza che è stata vissuta dall’Italia come un colpo alle spalle. Ai tempi in cui Paolo Gentiloni era ministro degli Esteri e John Kerry segretario di Stato Usa era Roma la città in cui si tenevano le riunioni più importanti sulla Libia. Per mesi l’Italia ha continuato a tenere in mano i fili del negoziato impossibile fra i leader libici e i paesi arabi della regione. Un ruolo che però l’Italia ha perso negli ultimi mesi per il declino del governo Gentiloni e al crescere del caos interno. Siccome in politica nessuno spazio rimane vuoto a lungo, quello spazio adesso semplicemente è stato occupato dalla Francia. Non è un’ingiustizia, semplicemente è un fatto. (Vincenzo Nigro)