A Parigi il 30 maggio scorso è andato in scena il protagonismo francese sullo scacchiere geopolitico del Mediterraneo, e poco altro. Il presidente Macron ha riunito nella capitale francese le delegazioni di diverse fazioni e tribù libiche – oltre al Primo Ministro Fajez Al Serraj e al Generale Khalifa Haftar, uomini chiave rispettivamente nell’ovest e nell’est della Libia, vi erano il presidente della camera dei deputati Aguila Saleh e il capo del Consiglio di Stato Khaled al Mishri – con l’intento di stabilire una road map che porti a elezioni il 10 dicembre prossimo, in un Paese ancora travagliato dal disordine più completo, dalla violenza settaria portata avanti anche da frange dello Stato islamico, e da un governo che rimane effettivamente impotente.L’accordo fortemente voluto da Macron, non ha ottenuto un consenso formale delle parti. Tuttavia, la Conferenza ha raggiunto lo scopo principale: portare al tavolo il potere militare personificato dal Generale Haftar, attore di primo piano nella gestione dell’immigrazione clandestina e probabilmente anche del suo business nel paese, e il volto della comunità internazionale in Libia, rappresentato da Serraj. L’obiettivo più riuscito è senz’altro il rinnovato ruolo della Francia nella regione. Macron punta a giocarsi una buona parte del suo standing internazionale in un’area che lo vede protagonista, soprattutto a sud della Libia, al confine col Niger nella regione di Agadez, e in tutta la fascia del Sahel dove l’Eliseo pensa per la Francia un ruolo di primissimo piano, culturale oltre che militare e strategico. Altri paesi europei, Italia in primis, fanno da contorno alla strategia francese in Libia e nella banda saheliana. Ma mentre il successo di Macron, almeno politicamente e dal punto di vista mediatico, pare assicurato, che benefici porta alla Libia e agli equilibri del Mediterraneo questa conferenza? E’ difficile dirlo. La Libia resta un attore fondamentale, le cui risorse energetiche fanno gola a molti, comprese le cancellerie europee. In aggiunta a questo interesse, vi è la preoccupazione per una situazione di prolungata instabilità nel Paese dovuta in primis ai flussi migratori provenienti dal Niger settentrionale. Il business dei migranti trova pane per i propri denti nel traversare un confine, quello tra Libia e Niger, labile come parole sull’acqua, non controllato da alcun governo libico, bensì da tribù locali, che imperano nella regione del Fezzan e che conducono la loro sussistenza anche grazie agli affari che i flussi migratori portano in una regione pressoché completamente desertica. Il problema migranti è anche fonte di instabilità a nord, sulle coste del Mediterraneo, dove la guardia costiera libica governa malamente la gestione dei rifugiati e delle loro partenze clandestine dalle spiagge della Cirenaica, oltre a destare non pochi dubbi in tema di diritti umani sul trattamento riservato ai migranti. C’è poi un’altra partita che conta, quella geopolitica. Occupati a concentrarsi sul Vicino Oriente e sul caos siriano, si rischia di perdere di vista il Maghreb, vera polveriera alle porte dell’Europa. La Libia è lo specchio di un Nord Africa che è al contempo fonte di insicurezza e di opportunità per l’Unione europea, dipende da come Bruxelles intende relazionarsi con i vari paesi. A ovest vi sono una Tunisia in una fase di rinnovato cambiamento politico e sociale (da poco è stata eletta un sindaco donna a Tunisi), e un’Algeria in piena transizione considerando l’età più che avanzata del Presidente Bouteflika. Inoltre, il Marocco, grande protagonista regionale, attivo su tutti i dossier, da quello migratorio al tema sicurezza nel Sahel, è politicamente in ascesa: il suo ministro degli Esteri, Nasser Bourita era presente alla Conferenza di Parigi e il re Mohammed VI ha legami più che consolidati con tutto il mondo sunnita, in primis con i Paesi del Golfo Persico. Ed è proprio dal Golfo Persico che arrivano gli aiuti finanziari che tengono in piedi il Generale Haftar e il suo esercito. Sia Riyadh che Abu Dhabi non possono infatti permettere che la Libia cada né nelle mani del fondamentalismo Isis né in quelle dei fratelli musulmani: in questo senso, per loro meglio Haftar di Serraj. Su questa linea si posiziona anche l’Egitto, attore del mondo arabo già beneficiario degli aiuti emiratini e sauditi e dove il Presidente Al –Sisi lotta per mantenere il controllo del paese in balia anch’esso del terrorismo. Con queste premesse, e considerando che gli attori libici perlopiù non si riconoscono tra loro, sembra quantomeno ambizioso pensare ad un’elezione generale in dicembre, con una legge elettorale condivisa, e soprattutto che porti ad un vincitore accettato da tutti. E’ ambizioso ma è necessario provarci, dalla Libia dipende la gestione dei flussi migratori così come gli equilibri regionali. La Francia lo ha capito da tempo, l’Italia anche, ma il suo minore standing internazionale rende più difficile ora essere protagonista sul campo. L’Unione europea non può farsi sfuggire l’occasione di gestire in prima persona, come non ha fatto sul tema migrazioni, la pacificazione della Libia, se non vuole lasciare la partita solo nelle mani dei suoi Stati membri, condannandosi ad un’ulteriore irrilevanza come già nel Vicino Oriente, e delle potenze locali come Marocco ed Egitto, con le quali è fondamentale che Bruxelles dialoghi per una soluzione condivisa. La stabilizzazione della Libia passa dal Cairo e da Rabat. Resta da capire come la pensano i diretti interessati, i libici.