Un tempo significava una politica di favori e mazzette. Oggi “fare lobby” è un mestiere serio e difficile, che mette in comunicazione governo e aziende. Per questo servono le donne.

 

C’ERA UNA VOLTA il Lobbista uomo, che per fare questo mestiere in Italia doveva sapere conversare di calcio, giocare a golf, essere qualcuno ai Parioli, avere l’agenda giusta, illittle black book, ed esserci alle feste importanti. Una vera professione, fatta di favori e chiacchiere, che s’è andata stemperando (anche perché in Parlamento, con il ricambio generazionale, la nuova classe dirigente è più interessara a scrivere il rweer giusto sui social che a coltivare amicizie – più o meno raccomandabili). In Italia la parola lobbista viene spesso legata a scandali, corruzione, mazzette, un modo insomma di fare politica da Prima Repubblica. Ma anche un’ arte, quella di creare contatti senza entrare nel merito. In realtà un lobbista è un professionista il cui lavoro consiste nel sensibilizzare le istituzioni per promuovere gli interessi delle aziende o delle associazioni committenti. Il precedente governo ha perfino creato un albo professionale. Pare che i lobbisti italiani siano 700, per lo più donne, che incontrano ministri e capi di gabinetto per parlare delle aziende che rappresentano: compagnie telefoniche, del gas, dispensatrici di banda larga, produttori di salami, ong in difesa degli animali, ma ovviamente anche produttori di armi e venditori di tabacco. L’identikit disegnato dall’Istar è: di sesso femminile (60%), over40, con un cv importante e una formazione tecnica interna all’azienda, quindi con contratto da dipendente. Lisa Di Feliciantonio è il capo delle relazioni istituzionali di Fastweb e racconta che, dopo la laurea in Economia alla Sapienza di Roma e un master al Politecnico di Milano, è entrata in azienda occupandosi di regolamentazioni. Non una materia semplice: «In un’ azienda che si occupa di Internet e banda larga è un tema pervasivo, richiede competenze economiche e una perfetta conoscenza del mercato Sono arrivata alle relazioni istituzionali dopo più di 10 anni. Bisogna saper essere creativi e dare risposte immediate», spiega. “Proprio a Bruxelles, con associazioni a difesa dei diritti digitali dei consumatori, abbiamo lanciato il progetto Net Competition, una campagna social di grande seguito che, attraverso pillole informative, è stata in grado di far capire alle autorità europee il valore della concorrenza per abbassare il costo dei servizi ai cittadini». Il mestiere di lobbista nel 20 18 è ben diverso da quello che ci si può immaginare seguendo una puntata di House of Cards. «In Italia è cambiato radicalmente. Il nostro compito è intercettare i temi che stanno a cuore ai parlamentari, offrire loro un punto di vista e un’ analisi reale sul settore in modo tale che il politico possa fare propria quella esigenza con l’obiettivo di migliorare il sistema». Di Felicianronio è una delle molte italiane chiamate a occuparsi di relazioni istituzionali, particolarmente apprezzate nelle multinazionali con board internazionale; le società italiane, invece, risentono ancora di un forte maschilismo. Fra le lobbiste più quotate vanno citate Maria Laura Cantarelli, public policy manager di Amazon; Veronica Parnio, che guida le relazioni istituzionali di JTl Italia, multinazionale giapponese nel settore del tabacco; Francesca Chioccherri, public affairs manager di Samsung. Paola Perrotti si occupa invece di lobbying “conto terzi”; «Sono partner dello studi) Fb&Associati, una realtà nata 20 anni fa per fare attività di lobby, quando anche parlarne era un tabù (era il 1996, ndr). Per noi è stata una scelta di posizione, l’intuizione felice di aprire una società in modo trasparente dedicata alle relazioni istituzionali in piena regola senza sotterfugi. Negli anni il mercato è cresciuto, è diventato altamente competitivo». Perrotti racconta che, fino a un decennio fa, le donne a capo delle relazioni istituzionali in Italia si potevano contare sulle dita di una mano, mentre ora i tailleur superano i doppiopetti. «Ma il dato è ancora più interessante se letto contestualmente alla funzione di public Llffairs, che è diventata più pesante e percepita dal top management come cruciale per il core business dell’azienda. Il lobbista aziendale è colui che permette di fare fatturato, facilitando le rigidità di un mercato. Le donne vengono sempre più spesso scelte per svolgere questo ruolo così cruciale, che riporta direttamente all’amministratore delegato, sono più brave nell’ambito della comunicazione, sanno mediare. Difficilmente entrano in contrapposizione, ma riescono a tenere il punto con il proprio interlocutore». Altri pregi delle donne lobbiste? “Sicuramente stanno più sul contenuto che sulla relazione in sé. Hanno capacità di sintesi, sanno fare squadra e soprattutto sanno quanto il tempo sia prezioso, quindi hanno senso pratico e puntano all’obiettivo», dice Perrotti. Per diventare lobbiste bisogna essere brave, molto brave. Spesso serve una laurea in Scienze Politiche, Economia o Ingegneria Gestionale e la carriera parte dal settore tecnico. Metabolizzate le tecniche della propria società e appreso il business, si sale verso posizioni quadro e, una volta divenute figure di fiducia, si possono assumere ruoli chiave al fianco del Ceo. Una strada piuttosto lunga, che si concretizza in una quindicina di anni. Un trampolino può essere la frequenza di un master su misura e il più qualificato è indubbiamente quello dell’università romana Luiss.