Se non altro non possiamo negare che sulla Libia la Francia abbia idee chiare e una politica che dallo scoppio della guerra civile contro il Colonnello Gheddafi in poi si è rivelata coerente. Fayez al Sarraj, il premier libico sostenuto dall’Italia, è sotto assedio a Tripoli, dopo una settimana di scontri _ Il governo non controlla la pane meridionale della città, l’aeroporto è chiuso e non è più scontata la fedeltà dei combattenti di Misurata, un alleato Strategico del governo di «accordo nazionale» che doveva condurre alla pacificazione del Paese. La situazione è tale che l’ltalia sta valutando l’opzione di un intervento da parte dei corpi speciali. Oggi summit a Roma con i vertici dei Servizi.Questo malgrado l’avvicendarsi a Parigi di presidenti di orientamento politico molto differente l’uno dall’altro. Caso mai quello di cui possiamo accusare I nostri cugini transalpini è l’eccessiva disinvoltura con cui conducono, con un bel pelo sullo stomaco, questa politica sostanzialmente neo-colonialista, condita di abbondanti coinvolgimenti di servizi segreti, traffico di armamenti ed impiego di unità speciali e che ha provocato alla Libia inaudite sofferenze dal giorno in cui Parigi e Londra hanno deciso di muovere contro Tripoli perseguendo Interessi esclusivamente individuali. Oltretutto, poi, si tratta di una politica che corre su un doppio binario, quello declaratorio in cui Macron si presenta sempre come campione dell’europeismo e della azione comune associandosi ad esempio, come ha fano di recente, all’appello internazionale alle parti in conflitto a Tripoli affinché sospendano le ostilità. Ben diverse invece le cose allorché dalle parole si passa ai fani. Qui la Francia si muove guidata solo dal proprio individuale interesse ed ogni adesione del presidente è motivata da un’ottica puramente nazionale. Per contro, allorché confrontata a quella francese, la politica Italiana nell’area appare, soprattutto in questo momento, troppo timida. Quasi come se ci rifiutassimo di prendere atto della evidenza dei fatti e di realizzare che la Francia mira a sostituirei nel ruolo di gestione delle risorse petrolifere libiche che l’Eni ha avuto sino ad ora e a escluderei da quel Maghreb che, col crescere dell’influenza francese in Libia, entrerebbe integralmente nella orbita transalpina. Di sicuro dò deriva, almeno in parte, dal fatto che in questo momento stiamo pagando l’accesso al potere in ltalia di forze nuove i cui rappresentanti non hanno ancora sufficiente esperienza internazionale e che non hanno ancora compreso come, ad esempio nel nostri rapporti con la Libia, una frammentazione dei poteri e del- l’azione italiana fra presidenza del Consiglio, Esteri, Interno, Difesa – e magari anche altri protagonisti minori come intelligence e Guardia costiera – possa risultare soltanto deleteria. Un punto che invece era ben chiaro al precedente governo, nel quale il ministro Minniti finiva per ricoprire completamente, nel rapporti coi libici, i ruoli di diversi ministeri, magari con qualche forza tura costituzionale, ma di sicuro con efficacia maggiore di quella attuale. Paghiamo anche errori pregressi più lontani nel tempo, per esempio non avere mai cercato – nonostante disponessimo di candidati richiesti espressamente come mediatori dalle tribù libiche – di ottenere per un Italiano la carica di rappresentante delle Nazioni Unite, lasciando che essa andasse prima a un tedesco poi a un libanese, che guarda caso risiede in Francia e insegna in un’Università francese. C’è da considerare, infine, come ogni nostra politica di aiuti a una delle parti in causa in situazioni del genere, nella fattispecie il governo Sarraj, sia condizionata da remore e scrupoli che forse ci fanno onore dal punto di vista morale, ma che finiscono per tradursi In irrilevanza sul terreno. In tale quadro persino la cessione di motovedette alla Guardia costiera libica è divenuto in Italia l’argomento di discussione di critiche a non finire. Adesso le nostre speranze per il futuro si concentrano da un lato sul ruolo di Paese di riferimento per la soluzione della crisi libica che Trump ei ha riconosciuto durante il suo incontro con Conte. Da considerare, però, co- me «Mister President» sia altrettanto bravo a promettere quanto a ritirare l’appoggio allorché le cose non marciano come richiederebbero le sue esigenze, specie in periodo di elezioni di Midterm. D’altro canto poi noi contiamo anche sul risultati della Conferenza sulla Libia convocata a Sciacca nel mese di novembre, che dovrebbe avere un livello tale per cui anche Trump, nonché i ministri degli Esteri e la Russia e Usa dovrebbero partecipare. Anche questa inizia riva rischia pero di risentire notevolmente delia recente mossa di Macron che è riuscito a riunire a Parigi le più importanti parti libiche in contrasto, a presentare un piano in 13 pund ea proporre elezioni nazionali da svolgere nel mese di dicembre. Mentre scriviamo a Tripoli si combatte e la bilancia sembra pendere sempre più dalla parte del generale AI Kalifa e del suoi sostenitori francesi.Cosa possiamo fare in queste condizioni? Ben poco se ci ostiniamo a muoverci da soli e a continuare a farlo con timidezza. Ci converrebbe invece probabilmente ricercare subito l’appoggio di tutti quelli che In un momento del genere potrebbero darei un aiuto efficace: Usa, Russia, Turchia, Qatar, lo stesso Egitto, ora che il caso Regeni sembra sul punto di essere superato. E poi forse dovremmo riuscire imparare a rispondere efficacemente ad azioni come quella francese, magari non abbassandoci anche noi a predicare bene ea razzolare male, ma non dimenticando mai che, quando ci sono in gioco certi interessi, gli altri possono farlo. –