Forse non è ancora l’ultima chiamata. Ma la crisi libica è certo un bivio assai importante nella storia dell’Europa unita. Un defining moment, direbbero gli americani: di quelli, cioè, in cui passi la linea d’ombra e si vede di che pasta sei fatto. Di quale pasta è fatta. dunque, questa Europa? A meno di un anno dalle prime elezioni forse davvero sentite dal cittadini dell’Unione (cioè non in termini di mera geopolitica ma di politica, non di élite burocratica ma di leadership popolare, con la grande opzione tra europeismo e sovranismo) alcuni tra gli Stati fondatori si trovano nella paradossale situazione dì rischiare il collasso politico europeo. Quando ne racconteremo la storta. ci dire ma che la panna libica aperta nel 2011 con l’eliminazione di Gheddafi (fortemente voluta dalla Francia) non s’è mai chiusa, provocando effetti assai gravi soprattutto sul nostro Paese in termini di migrazioni e contraccolpi sociali. Oggi, al finale di quella partita, i partner europei pongono in questione l’essenza stessa del l’Unione: che o è- cooperazione o non è, ci diranno che Il bilancio europeo 2021 20271nfine ci aiuta (dunque sbaglieremo a boicottarlo come minaccia il nostro esecutivo): aumenta la spesa per la protezione dei confini esterni e la gestione dei flussi migratoti da circa 12 a oltre 30 miliardi di euro, con io miliardi per polizia e Guardia costiera europee. Vero. Ma questo io il libro contabile di domani. mentre in Libia il sangue scorre ora. E scorre nella capitale, vicino alla nostra ambasciata. all’aeroporto: i morti sono decine, i feriti sono più di cento. Questo nuovo carnaio le immagini che hanno inorridito anche papa Francesco sui campi di tortura dei migranti basterebbero a giustificare un intervento occidentale (europeo) che prenda in mano il Paese per ragioni umanitarie non meno palesi di quelle che valsero l’egida dell’Onu all’intervento contro Gheddafi), ne controlli spiagge e porti i filtrando in loco i flussi migratori che, in caso di crollo del simulacro di statualità ora in piedi. potrebbero sommergerci e, soprattutto, ponga fine al famelico balletto di statisti fasulli o dimezzati, capi tribù camuffati da sindaci. capi banda spacciati per poliziotti. guardie costiere fratelli degli scafisti. generali con medaglie di latta. Ammettiamolo: è un’idea naif riportare ordine in quel l’inferno per ragion di banale umanità o per offrire un ubi consistam politico alla triste Europa dei Pil cui ci siamo assuefatti. Facciamolo allora per interesse economico (ce n’è a iosa attorno ai pozzi di petrolio) o per strategia securitaria (i jihadisti già sguazzano nel caos). Fronda t’Italia invece competono per interposta fazione (ha ragione Gilles Kepel nell’intervista al nostro Lorenzi Cremonesi) alimentando la crisi. O meglio, sia detto senza ombra di sciovinismo, Emmanuel Marron ha deciso di portare a termine, sponsorizzando il generale Haftar e le sue mire di potere, l’operazione iniziata sette anni fa iniziata da Nicola Sarkozy con il primo intervento. A nostre spese. E a spese della legalità formale, tutta dalla parte del premier AI Sarraj, il quale, sostenuto da noi, assieme alla comunità internazionale resta tutt’oggi il nostro unico successo diplomatico nella regione. Così si spiega la marcia della famigerata Settima Brigata verso Tripoli. E l’assedio non solo diplomatico al nostro ambasciatore Giuseppe Perrone di cui Haftar ha chiesto la cacciata mal sopportandone il prestigio a sostegno di Sarraj e il sacrosanto scetticismo su elezioni da tenersi in Libia il 10 dicembre. Siti vicini ai francesi hanno ventilato la sua rimozione decisa dal nostro governo per ingraziarsi Haftar (ipotesi poi smentita). Di fatto Perrone non è in sede ma «in vacanza» all’estero: un basso profilo prudente. an che in vista della conferenza da noi organizzata a Sciacca per novembre e che. in assenza di Haftar e contro i francesi, si ridurrebbe a un convegno di studi. In ballo però, è molto più di un prestigioso appuntamento unilaterale. E proprio Macron, che sì presenterà alle elezioni del 2019 come paladino del fronte europeista, dovrebbe saperlo. Passare divisi la linea d’ombra di Tripoli sarebbe l’ultimo decisivo regalo a chi vuole cambiare- l’Europa in modo nuovo eppure ani Ira: serrandone le saracinesche e gli spiriti.