Il generale Rodolfo Graziani, che Mussolini con occhio acuto di giornali-sta aveva scelto perché diventasse un Marte in camicia nera, il primo condottiero fascistissimo, viaggiava sempre con una troupe cinematografica al seguito; l’aveva assegnata il “Principale” in persona quando gli aveva affidato il compito di pacificare la sgangheratissima colonia della Libia. L’aveva mal conquistato lo scatolone di sabbia il prototipo della vecchia Italia, Giolitti: il vivacchiare sulla costa, difesi dai cannoni delle corazzate, lo pagavamo in moneta sonante irrorando di palanche le feroci e irrequiete tribù. I metodi, come si vede, in quei dispettosi deserti non son mutati. Ma Mussolini ne aveva abbastanza di questi lazzaronismi, erano i tempi del “cambiamento” anche per l’imperialismo italiano che Lenin aveva impietosa mente definito “da pezzenti”. Graziani non si tirava indietro: montava un ombroso cavallo bianco ramazzato dopo una battaglia di nome Uaar ovvero il difficile, con pose alla Rodolfo Valentino, guidava cariche di meharisti, fulminava torme di ribelli catturati a raffiche di mitragliatrice, per punirli di non accertare commossi la civiltà che l’Italia un po’ ruvidamente porgeva loro. Altro che italiani brava gente! Statuario, alto, agevolato dal profilo leonino di antico romano metteva alla berlina i generali piemontesi del vecchio esercito, panciuti, metodici con facce da impiegato del catasto. Lui era il terrore dei beduini, il nuovo Scipione. Aveva però incontrato un avversario pericoloso, pronto a ogni astuzia e sbaraglio, un Annibale in età da pensione ma che in quei deserti sapeva innescare guerriglie giovanissime e efficaci: si chiamava Ornar el Muktat. La sua epopea contro gli italiani gli valse una precoce fama di eroe del terzo mondismo che non esisteva ancora. Per lui tra i popoli musulmani venne lanciata una campagna per il boicottaggio dei prodotti italiani, le nostre ambasciate e i consolati vennero presi d’assalto dal Cairo all’Iraq. E alla fine venne proclamata la inevitabile e insidiosa jibad.

La guerra sporca

Per annientarlo Graziani inventò metodi spietati che sono rimasti in voga, in tempi recentissimi, nell’arsenale della guerra sporca di potenze certo non fasciste. Esempi: rinchiudere le popolazioni in immensi campi di concentramento in pieno deserto per toglier ai guerriglieri sostegno, reclute e rifornimenti, sterminare cavalli e cammelli per appiedarne imboscate e ritirare costruire un muro di filo spinato lungo la frontiera egiziana per bloccare vie di fuga. E perfino i tribunali volanti. I giudici militari si spostavano in aereo, atterravano nelle oasi, giudicavano in pochi minuti i prigionieri esecuzione e via per un ‘altra udienza: -La giustizia italiana scende dal cielo come un spada». Scrivevano soddisfatti i buccinatori del generale. Omar el Muktar però non lo catturò Graziani e neppure i soldati italiani. Furono ausiliari libici che lo ferirono e ce lo consegnarono. Le tribù e le loro eterne guerre: facevano furore già prima del petrolio. Graziani era assente in aereo si precipitò a Bengasi. l’ultimo atto era affar suo. Il copione copiato da Tito Livio prevedeva l’incontro con il vinto. Purtroppo a Graziani piaceva anche scrivere, voleva essere addirittura il Lawrence italiano. Aveva ahimè! un prosa da sergente furiere. Inciampava nella consecutio, aveva la mania della citazione latina, ronfava sulle subordinate. Nell’insopportabile “Pace romana in Libia” (tiratura ciclopica, ovviamente) racconta a suo modo l’incontro con il vecchio guerrigliero: secondo lui parlarono di morte e vita, vittoria e fato. Con tocco fascista sottolinea che rifiutò di stringere la mano al libico. Come rifiutò la richiesta di fucilarlo. Lo impiccarono, invece, come un ladro davanti a ventimila libici convocò per mostrare che la rivolta era finita.Omar al Muktar ha continuato a assillarci come un fantasma shakespeariano anche quando siamo diventati repubblica e democrazia (Graziani che non aveva perso il vizio di fucilare ai tempi di Salò si era ormai riciclato impudicamente come deputato del movimento sociale). Il colonnello Gheddafi nella sua fase terzomondista lo tirò fuori dagli archivi per pretendere risarcimenti in denaro e scuse postume. Per tener desta la memoria finanzi è un kolossal (peraltro cinematograficamente orribile, verrebbe da dire alla Graziani) che raccontava la sua epopea. Come sempre per Gheddafi è difficile dire se ci credesse davvero. Le colpe coloniali per lui erano un bel fascio, peraltro verissimo di nequizie che voleva monetizzare in soldi e propaganda politica. Ci aggiungeva anche i deportati della rivolta di Sciarat sciar, la prima contro di noi appena sbarcati nel 1911: 3400 ribelli confinati, ma da Giolitti, nelle isole penitenziario Ustica, Ponza, Favignana e nelle carceri di Gaeta e Caserta. Anche questa storia dell’Italia liberale non ci rende onore: quasi riunì morti in prigionia, 50- soprattutto di colera, chiusi in luoghi infetti, mal nutriti e trattati come bestie.

La scoperta dell’antifascismo

Il generale Haftar si è scoperto democratico e antifascista perché Gheddafi voleva fari o fucilare: come Graziani davanti agli inglesi nel 1940 è fuggito, anni fa, braccato da un manipolo di ciadiani montati su pick-up. Anche quello del Colonnello, in fondo, era un imperialismo un po’ straccione. Ora in attesa di marciate su Tripoli recupera contro l’Italia, di cui diffida, il tema delle colpe coloniali e lo ispessisce con particolari macabri di cadaveri decapitati e teste sparite di martiri.

Chi cercava un nuovo Gheddafi per rimetter la Libia in ordine, forse l’ha trovato.-