Malgrado il caos degli ultimi 4 anni, l’influenza del periodo coloniale di Roma sul tessuto urbanistico della capitale libica è ancora evidentissima.
Al pari di Asmara, Bengasi e Rodi, anche Tripoli continua a conservare tracce architettoniche e urbanistiche ben visibili dell’amministrazione coloniale italiana. La guerra del 2011 e gli scontri degli ultimi mesi non hanno fortunatamente toccato la parte storica e centrale della città, quella che dalla medina e dall’attuale Piazza dei Martiri (l’ex Piazza Verde) si sviluppa intorno alle vecchie arterie stradali italiane: corso Vittorio Emanuele III, corso Sicilia, via Lazio, via Lombardia e via Piemonte. Gli edifici italiani, a distanza di molti decenni, continuano dunque a caratterizzare il volto del centro di Tripoli. Le principali iniziative del governo italiano in campo architettonico si sono avute principalmente sotto i governatori Giuseppe Volpi di Misurata (1921-1925) e Italo Balbo (1934-1940). Il primo, imprenditore e diplomatico veneziano, fu designato a ricoprire tale carica dal ministero delle Colonie per dare un maggiore slancio alla colonia da un punto di vista economico e commerciale; il secondo, eroe e trasvolatore oceanico, fu nominato alla guida della colonia libica da parte di Mussolini forse per estrometterlo dalla politica nazionale. Sotto Volpi, Tripoli godette di una e propria valorizzazione architettonica che comportò la costruzione dei Lungomare, del Palazzo del Governatore (concluso nel 1929), della Cattedrale del Sacro Cuore di Gesù (terminata nel 1928), del Teatro Miramare (non più esistente) e delle strutture legate al credito e al commercio (si pensi all’edificio della Cassa di risparmio della Tripolitania o a quello della Banca d’Italia). Inoltre si attuò un restauro integrativo e non conservativo del Castello che divenne il centro del potere italiano. I progetti e le opere di risanamento vennero per lo più commissionati ad Armando Brasini, noto architetto dell’epoca, che aveva fatto suo lo stile eclettico con forti contaminazioni arabeggianti. L’azione riformatrice di Volpi si ispirava a ciò che stava compiendo a Rabat il generale Hubert Lyautey, governatore del Marocco, e vi era forse la volontà di competere con l’esperienza francese. Degli anni di Volpi rimangono in piedi il palazzo del governatore che doveva simboleggiare la grandezza degli italiani (e che fu in un secondo momento dimora di Re Idris e della famiglia reale e successivamente destinato da Gheddafi a ospitare il Museo nazionale libico) e l’edificio della Cassa di risparmio della Tripolitania, costruito a fianco dei bastioni del Castello, che ha mantenuto la sua destinazione originaria divenendo la sede della Banca centrale libica. I Lungomare (fra cui si ricordano i vecchi Lungomare Volpi, Belvedere, dei Bastioni e della Vittoria) sono ancora visibili. Tuttavia, a seguito di un deprecabile massiccio intervento urbanistico, non si affacciano più sul mare; dopo le balaustre in pietra è stata costruita una grossa arteria urbana a scorrimento veloce. Degli anni di Italo Balbo (1934-giugno 1940), rimane moltissimo in città. Il generale italiano, rifacendosi alle esperienze coloniali di Volpi e di Lyautey e con l’intento di dimostrare le sue capacità governatoriali alle autorità centrali di Roma (forse una sfida nei confronti di Mussolini), volle continuare a valorizzare da un punto di vista turistico e commerciale la città. Ecco dunque sorgere edifici di ogni genere che dovevano completare il nuovo piano urbanistico e che furono progettati per lo più dall’architetto Florestano Di Fausto. Due sono i punti maggiormente rappresentativi della città e che permangono immutati nel tempo: la vecchia Piazza Italia (oggi Piazza dei Martiri) e l’antica piazza della Cattedrale (ora Piazza Algeria). La prima era e continua ad essere la principale piazza di Tripoli. Edificata a fianco del Castello, su di essa sorgono l’ex edificio del Banco di Roma (che ha mantenuto la sua destinazione d’uso ospitando una banca) e la sede degli uffici governativi coloniali, oggi in restauro. Nella seconda si affacciano l’edificio del Municipio e delle Poste e telegrafi (ancora oggi ufficio di rappresentanza del sindaco di Tripoli), la già ricordata Cattedrale italiana (trasformata sotto Gheddafi in una moschea) e la vecchia sede dell’Istituto nazionale fascista di previdenza sociale, adesso sede di varie compagnie. Per respirare ancora un’atmosfera italiana nella città si dovrebbe percorrere l’ex Corso Vittorio Emanuele III (oggi Sharia al Estiqal), passando per la vecchia e alberata piazza IV Novembre, in direzione del quartiere della Dahra. Due sono gli edifici che ancora ricordano la presenza italiana e il periodo di Balbo: l’albergo Uaddan (a fianco dell’odierna Ambasciata italiana) e la piccola chiesa di San Francesco, oggi sede del Vicariato apostolico. Entrambe sono opere dell’architetto Di Fausto e sono state edificate richiamando nelle loro forme elementi architettonici della tradizione locale. In particolare l’albergo Uaddan, recentemente restaurato, è considerato ancora oggi uno degli alberghi più eleganti della città. Balbo, nella sua esperienza governatoriale, cercò di risanare la medina storica di Tripoli, contribuendo a isolare il segno del dominio dell’antica Roma sulla città, ossia l’Arco di Marco Aurelio. La sistemazione della zona dell’Arco, da parte di Di Fausto, rimane immutata nel tempo e costituisce probabilmente il punto di maggiore attrazione turistica della città. Molti biografi di Balbo, fra cui Giordano Bruno Guerri, hanno sottolineato la politica filolibica del trasvolatore atlantico. La sua vicinanza alla popolazione locale in architettura ha significato un massiccio programma di restauro dei maggiori e storici fonduchi (magazzini e alloggi per mercanti) e di alcune moschee di Tripoli. Le tracce di questa opera di riqualificazione sono ancora ben visibili soprattutto nella zona della medina. Al fine di proteggere gli edifici italiani, l’Istituto italiano di cultura di Tripoli, l’Unesco e l’ordine degli architetti libico hanno promosso nel gennaio del 2014 un convegno dal titolo Gestire e conservare le città storiche in Libia. In quella sede si auspicava l’adozione di politiche volte a una maggiore sensibilizzazione riguardo all’eredità architettonica italiana e fondate su una continua cooperazione fra tecnici italiani e libici. Purtroppo, a più di un anno di distanza e in un momento fortemente critico per le istituzioni libiche, tale collaborazione stenta a partire. La maggior parte degli edifici italiani a Tripoli rimane comunque intatta e i maggiori cambiamenti architettonici sono avvenuti durante il regime di Gheddafi col proposito di risanare o riqualificare alcune aree. Gli scontri bellici degli ultimi quattro anni non hanno ancora generato ripercussioni negative sul centro cittadino, eccetto alcune azioni vandaliche al cimitero italiano (ripetute a inizio novembre 2015, ndr). Tuttavia, occorre non abbassare la guardia e continuare, per quanto possibile, a monitorare e tutelare quanto rimane delle testimonianze storiche-architettoniche italiane in loco.