«Da palermo non ci aspettiamo niente, è una sfilata di bambole e Serraj  è il burattino dell’Europa e delle Nazioni Unile». Zakaria ha poco più di vent’anni e come altre centinaia di persone è in coda lungo una via che porta su Piazza dei Martiri: da un lato del marciapiede gli uomini, su quello opposto le donne. Aspettano il proprio turno per entrare in banca a preleva re denaro. «Quando una famiglia ha dei problemi li risolve in casa propria, non dai vicini – continua -le sfilate di politici organizzate in casa d’altri. In Tunisia, a Parigi, in Italia, cosa hanno cambiato per noi? Le foto ricordo con le strette di mano cosa ci hanno portato? Forse qualche risultato l’ha avuto chi ci succhia gas e petrolio, non noi. La soluzione è in Libia tra i libici, non dall’altra parte del mare», poi alza l’indice e il medio della mano destra, in segno di vittoria e dice: «Haitem è uno di noi, è la sola nostra salvezza. Altro che governi delle Nazioni Unite». Haitem è Haitem Tajouri, il giovane signore della guerra a capo delle Brigate Rivoluzionarie di Tripoli che – dopo gli scontri armati dello scorso settembre – ha improvvisamente cambiato volto, dismettendo i panni del capo milizia minaccioso e temuto, per indossare quelli del difensore del popolo oppresso. L’intensa crisi economica ha scatenato due importanti scontri armati nei mesi scorsi: una sul controllo delle entrate petrolifere nel Golfo di Sirte a giugno e a fine agosto l’attacco da parte della Settima Brigata di Tarhouna alle milizie della capitale ritenute responsabili del deterioramento dell’economia e di aver sottratto fondi pubblici a scapito dei cittadini. Il tasso ufficiale del cambio con il dollaro è 1,30, ma al mercato nero fluttua tra quattro e sette volte tanto, rendendo il prezzo delle importazioni molto più costoso, così come carburante e beni primari. Il pane, ad esempio. è più che raddoppiato in un anno. La liquidità è da anni il primo dei problemi. In banca non si può ritirare più di 500 dinari al mese, 90 dollari al mercato nero, ma chi lo fa deve darne una parte ai membri delle milizie che controllano gli sportelli bancari. Il cartello di Tripoli: le brigate rivoluzionarie di Tajouri e la potente milizia salafita Rada. Le milizie si dividono i quartieri e dunque le rispettive filiali di banca. Se a una filiale arrivano tre milioni di dinari, metà vanno alla milizia e l’altra metà spartita tra conoscenti e familiari, al costo di una mazzetta che è il segno della riconoscenza. Da due giorni, in concomitanza con l’assenza dei vertici di governo presenti a Palermo, le milizie – additate come il principale problema della Libia, irrisolto dal 2011 – stanno mostrando il proprio volto populista. Haitem Tajouri presidia le vie limitrofe a Piazza dei Martiri atteggiandosi a difensore dei diritti del popolo. Impone alle banche di restare aperte fino a notte e i suoi uomini organizzano le code. Da due giorni i cittadini libici possono prelevare fino a cinquemila dinari, dieci volte la cifra normalmente consentita. «Svuoteremo i nostri conti. Siamo tutti qui per merito di Haitem, nessun politico ha fatto questo per noi. Perché dovremmo fidarci della gente a Palermo quando la soluzione è qui? Tajouri è un libici tra i libici – urla Abdullah, giovanissimo, in coda anche lui – è il solo che merita il nostro voto, se mai ci faranno votare». Intorno a lui uomini di tutte le età annuiscono: Haitem is our hero. La settimana scorsa gli uomini della Brigata Rivoluzionaria hanno fatto irruzine al suk el Musheer, il quartiere dei cambi, imponendo ai cambi valuta che non sottostavano all’ordine di Tajouri di abbassare il prezzo del dollaro, di sdraiarsi a pancia in giù e poi costringendoli a camminare con la testa in un cestino dell’immondizia. «La Libia è un paese di maschere», dice Makhmoud, sessant’anni, un po’ in disparte dal resto della fila. Intorno alla coda fa buio, la banca è ancora aperta. A presidiare l’entrata della banca i miliziani, con le pistole in tasca. Nessuna delle persone in fila si rivolge agli uomini in uniforme, al contrario tutti fanno riferimento ai ragazzi arati in abiti civili. «Le cose stanno cambiando – dice Makhmoud, con disincanto – ma ogni cambiamento nasconde un tranello». Due mesi fa il governo Serraj ha emanato due riforme importanti, la prima sulle forze di sicurezza, e la seconda economica. Entrambe le misure celano però delle zone grigie. «Così si istituzionalizzano i ladrocini delle milizie – dice Makhmoud – hanno capito il gioco, alcuni di loro cambiano uniforme, indossano quella ufficiale delle forze di sicurezza e mettono le mani sulla ricchezza del paese dall’interno. Gli altri fanno il gioco della strada. Così nessuno ha margine di ribellarsi». Il 25 ottobre durante l’inaugurazione delle nuove disposizioni di sicurezza per limitare il potere delle milizie, Tajouri era presente, di fronte agli uomini in uniforme. «Per supervisionare», ha dichiarato. «hanno finto di sciogliere due milizie, la Nawasi e la Gheniwa, ma la verità è che sono state assorbite dal ministero dell’Interno – dice Makhmoud – non è una soluzione, è un trucco. Si sono camuffati». Le milizie si stanno trasformando in colletti bianchi.