Il suo giudizio sulla Conferenza per la Libia di Palermo è tranchant: “L’abbiamo consegnata nelle mani di Haftar. Altro che un successo politico-diplomatico! Si è trattato di un passo indietro”. Reso ancor più evidente dal perdurare dell’assenza a Tripoli del nostro capo legazione, dopo che, il 10 agosto scorso, l’ambasciatore Giuseppe Perrone è stato richiamato a Roma per gravi motivi di sicurezza. “L’unico lato positivo è che dopo la mia sollecitazione e dopo diversi mesi, il ministro Moavero Milanesi convenga sull’urgenza della nomina di un nuovo ambasciatore”. Ad affermarlo all’HuffPost è l’ex presidente della Camera, e senatore nell’attuale legislatura, Pier Ferdinando Casini. Di una cosa si dice certo. E questa certezza non è stata incrinata dalle considerazioni del ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi né risolta da una vicenda, quella che riguarda il richiamo in patria dell’ambasciatore Perrone e l’assenza a Tripoli del massimo referente diplomatico, in una fase particolarmente calda, sul piano politico, nella quale l’Italia ha cercato, e continua a farlo, di affermare un suo ruolo primario sullo scenario libico. Il fatto è, rimarca Casini, ” che “di Libia e soprattutto con i libici, parlano troppi italiani…”. E di questo ne ha fatto le spese il nostro ambasciatore. Per inquadrare un'”affaire” tutt’altro che risolto va ricordato che inizio agosto, l’ambasciatore aveva sottolineato, in un’intervista in arabo alla tv Libya’s Channel, l’importanza di “preparare bene le elezioni”, con una base “costituzionale chiara” e “condizioni di sicurezza adeguate”. Sostanzialmente, non entro la fine dell’anno, come prevedeva in un primo tempo il piano francese (successivamente l’inviato speciale Onu Ghassan Salamè ha definito una road map che sposta i termini al 2019). La soluzione di andare in tempistretti alle urne era gradita anche dall’uomo forte della Cirenaica, il marescialloKhalifa Haftar. Di qui le polemiche immediatamente successive alledichiarazioni del diplomatico italiano, con bandiere tricolori date alle fiamme ealtre dimostrazioni anti-italiane. A muoversi contro Perrone, almeno dueistituzioni di Tobruk, nell’Est del Paese controllato da Haftar. La Commissioneaffari esteri della Camera libica aveva definito l’ambasciatore “persona nongrata” e il ministero degli Esteri del “governo provvisorio” (non riconosciutodall’Onu) lo aveva accusato di interferire negli affari libici. Uno strappo che lacontroversa presenza di Haftar alla Conferenza di Palermo del 12-13 novembrescorsi, non sembra, al di là di strette di mano e mezzi sorrisi, aver del tuttoricucito.Presidente Casini, Lei ha presentato in Senato un’interrogazione rivolta alPresidente del Consiglio dei ministri, Giuseppe Conte, e al Ministro degli Affariesteri, Enzo Moavero Milanesi, per sapere le ragioni per le quali a distanzaormai di mesi, l’ambasciatore Perrone non ha fatto rientro a Tripoli. Il ministrodegli Esteri Enzo Moavero Milanesi le ha risposto ieri, affermando, citotestualmente che ” la decisione presa, d’intesa con l’ambasciatore, si giustificacon i gravissimi rischi sulla sicurezza della sua persona che sono stati segnalatidalle autorità libiche a seguito dei malintesi creati dall’intervista questi sonosfociati in rischi gravi per la persona, e confermati dalle competenti autorità disicurezza italiane. Su questo punto io ho avuto modo di riferire anche in aula emi duole se non sono stato sufficientemente bravo a esprimermi conchiarezza…”. Al di là della chiarezza e della risposta avuta dal titolare dellaFarnesina, che idea ha maturato su questa vicenda e più in generale sullapolitica che l’Italia sta portando avanti in Libia?”Di Libia e soprattutto con i libici, parlano troppi italiani. E di questa cosa ne hafatto le spese il nostro ambasciatore che è uno dei più raffinati conoscitori delmondo arabo. Non che sia determinante, ma l’ambasciatore Perrone è ancheuno dei pochi italiani che parlano l’arabo, e non credo che ve ne siano tanti neinostri servizi d’informazione. Comunque sia, l’unico lato positivo è che dopo lemie sollecitazioni e dopo diversi mesi, il ministro degli Esteri convengasull’urgenza della nomina di un nuovo ambasciatore. Almeno questo loconsidero un fatto positivo. Aggiungo che in un Paese come l’Italia che, da unlato ha grandi aziende come l’Eni che operano fattivamente in Libia, e dall’altroha politici un po’ velleitari che organizzano la Conferenza per la Libia diPalermo, non può permettersi di avere una sede vitale come quella di Tripoliprivata del capo missione. E’ come se mandassimo un aereo in volo senza ilcomandante”. Partendo da questa considerazione e allargando l’orizzonte,quale giudizio si sente di dare della politica portata avanti da questo Governoin Libia? “Preferisco non fare bilanci, perché temo che non potrebbero esserepositivi. Diciamo che siamo in corso d’opera e dobbiamo ancora lavorare tanto.Palermo per me è stato un passo indietro perché abbiamo messo la Conferenzanelle mani di Haftar che ha giocato con noi ridicolizzandoci”. Eppure dalpresidente del Consiglio al ministro degli Esteri, si è ripetuto che “l’Italia ètornata in campo…”. “Ma quale ritorno! L’Italia in campo, nel Mediterraneo, c’èsempre stata. Il problema vero è come starci e con chi”.