L’INCONTRO.L’embargo sulle armi: una delle questioni che più sta a cuore a Khalifa Haftar, ma che l’Onu non intende revocare. Il comandante dell’Esercito nazionale libico ha dialogato per più di un’ora e mezza con il premier Giuseppe Conte, e l’incontro, definito «interlocutorio», ha toccato tutti i nodi che andranno sciolti nei prossimi mesi, comnpresi quelli legati alle restrizioni imposte a Tobruk e la possibilità che il feldmaresciallo ottenga la riunificazione delle forze armate sotto la sua guida. La visita è la naturale evoluzione dell’incontro avvenuto a Palermo, e ha l’obiettivo di preparare il terreno a quello che l’inviato dell’Onu Ghassan Salamè ha messo come priorità della sua road map, ovvero una Conferenza nazionale che si dovrebbe svolgere a gennaio proprio in territorio libico, nel tentativo di preparare il paese alle elezioni, Haftar tiene molto al suo ruolo da potenziale leader e, con l’appoggio di altri Stati, spera di guadagnare ancora terreno. Dall’altra parte anche l’Italia ha ormai accettato l’idea che senza il maresciallo, difficilmente si potrà arrivare alla stabilizzazione del paese. E in questo gioco di equilibri, Palazzo Chigi sta tentando di evitare che l’uomo forte della Cirenaica riprenda la sua gara solitaria, e rimanga allineato alla via tracciata dall’Onu. «L’importante è garantire i percorsi principali» che porteranno a una soluzione, hanno evidenziato fonti vicine al dossier. Il piano Salamè, infatti, si fonda su tre pilastri: un processo politico inclusivo, con un’assemblea nazionale ed elezioni verosimilmente a giugno, il consolidamento delle riforme economiche per ottimizzare lo sfruttamento delle risorse energetiche, e un piano della sicurezza per Tripoli.

IL NO ALLE MILIZIE. Il dossier sicurezza è particolarmente sensibile per Haftar, che vede nella creazione di una forza regolare nella capitale, con lo smantellamento dlle milizie, la via maestra per ottenere ciò che desidera di più: il comando delle forze armate. «Non è un mistero che sia tra le sue aspirazioni – viene spiegato – l’Italia ha fatto dell’ownership dei libici la sua bandiera, quindi spetta a loro decidere» le future cariche. In ogni caso, la missione a Roma dell’ex generale rientrava in una strategia per allungare la propria lista di sponsor. Il governo italiano, pur mantenendo il sostegno alle istituzioni di Tripoli, negli ultimi mesi si è avvicinato anche al capo de facto dell’est del Paese. Lo stesso Conte ha fatto di tutto per consentire la stretta di mano tra Haftar e il premier Fayez al Serraj alla Conferenza di Palermo. Anche se restano molteplici le questioni sul tavolo tra Tripoli e Tobruk. E al di là del riconoscimento internazionale una in particolare è proprio quella che riguarda l’embargo sulle armi. Con la risoluzione 2441, qualche mese fa l’Onu ha deciso di sollevarlo per il governo Serraj, che potrà avanzare richiesta per acquistarne. A patto che siano utilizzate per combattere formazioni islamiste come lo Stato Islamico, Al Qaeda, Ansar Al Sharia e gli altri. Anche Haftar aveva provato a ottenere la fine delle restrizioni, ma non è stato accontentato.

GLI INTERESSI. Il dialogo ha toccato altri argomenti che stanno a cuore all’Italia: «il controllo strategico dei flussi migratori ed energetici» lungo l’asse Tripolitania – Fezzan (nord – sud), e la blindatura delle frontiere esterne. Da qui la necessità di puntare sull’uomo che più garantisce il controllo del territorio, soprattutto di quella parte della Libia dove si concentrano maggiormente gli interessi italiani, che riguardano gli impianti petroliferi e il contrasto ai trafficanti di essere umani.