A Villa Giulia a Roma una mostra ripercorre il filo che lega i lavori dell’artista scomparso venti anni fa alle sculture delle Mater Matute e alle pitture di Tarquinia. Storia di una relazione personalissima con l’archeologia e con un museo dove aveva lavorato da giovane.
Mario Schifano torna a Villa Giulia. A Roma, fino al 10 marzo, la mostra EtruSchifano occupa, al piano nobile della villa cinquecentesca che fu residenza estiva di papa Giulio III, le due sale destinate dal Museo nazionale etrusco alle esibizioni temporanee. La mostra, curata da Gianluca Tagliamonte e da Maria Paola Guidobaldi, mette in luce una pagina secondaria della vicenda biografica ed artistica di Mario Schifano. Generalmente costretta, nei numerosi materiali delle mostre, in poche battute oppure, se ripresa nelle analisi di alcune delle produzioni artistiche, mai concretamente indagata. La scrupolosa ossessione filologica che guida l’allestimento di EtruSchifano oltre a lavorare sul legame tra biografia e sviluppo delle opere e dei cicli a tema archeologico consente – questa volta dal punto di vista degli archeologici – di indagare il campo d’interferenza che si genera tra opera contemporanea, reperto e materia archeologica che, pur non presupponendo lo smarrimento o l’erosione del dato archeologico, apre ad una meditazione visuale sedotta, quando non dall’interconnessione, dalla giustapposizione degli elementi in mostra. È così che nella sala dei Sette Colli lo stupore coloristico dell’intero ciclo de Gli Etruschi di Mario Schifano, ispirato dalle pitture funerarie di Tarquinia con numerosi richiami ad altri oggetti, a forme e pitture vascolari, trova un riuscito accostamento con alcuni dei vasi appartenenti alla collezione del museo. Capolavoro delle bronzistica etrusca, il ricco carrello bruciaprofumi proveniente da Bisenzio – risalente alla fine del VIII sec. a.C. – è, invece, la risposta a quello in vista laterale, rappresentato da Schifano con le ruote in movimento, come in corsa, quasi alla maniera delle sue biciclette. L’esposizione nella sala di Venere di tre dipinti e due carboncini del ciclo Mater Matuta consente di riunire le due statue in tufo di Matres campane, presenti dal 1876 a Villa Giulia, a quelle del nucleo originario delle “madri” del fondo Patturelli, custodite nel Museo provinciale campano di Capua intorno a cui gravita l’elaborazione pittorica di Schifano. È sbalorditiva, sostenuta dallo studio in catalogo, l’esposizione in trittico delle tre tele appartenenti al ciclo Mater Matuta. I pezzi archeologici, anche quello “in filigrana” nei flussi del blue, sono tutti riconoscibili. Il passaggio cromatico, tra la notte e il nuovo giorno, ne rivela la complessa mitografia, lo scarto tra movimento celeste e fermezza terrigna delle Matres apre, in maniera definitiva, tra il grido disperato della madre di Guernica e l’abbozzo, in una mandorla di luce, della Venere di Willendorf, alla visione cosmica del mito. A sostegno della complessa mitografia la Mater Matuta come potente forza femminile, generante e matrilineare viene connessa, nell’allestimento, alle offerte – tipiche nei santuari dell’Italia centrale fra il III e il II sec. a.C. – delle statue in terracotta raffiguranti neonati avvolti da bende a spirale e da una selezione di statuette votive rappresentate alla maniera delle Matres di Capua, attribuite nei luoghi di provenienza, come per assimilazione sotterranea, al culto di Minerva. All’inizio del percorso di visita, scorre in video una sequenza fotografica realizzata da Marcello Gianvenuti che cattura alcuni momenti dell’happening del 16 maggio 1985 a Firenze. Quando, in piazza della S.S. Annunziata, con Achille Bonito Oliva – come un telecronista del ciclismo – a scandire l’evento; davanti a migliaia di persone, Schifano – assistito solo da qualche collaboratore e da alcuni dei giovani dell’Accademia di belle arti – realizza, in meno di due ore, su una superficie pittorica di quaranta metri quadrati, La Chimera. La perdita del video della performance rende preziosi gli scatti di Gianvenuti. Unici, in quella circostanza, a poterci restituire il corpo a corpo dell’artista con l’imponente materia pittorica. Conservati nell’archivio del Museo, in mostra nella sala dei Sette Colli, sono visibili anche alcuni dei documenti del fascicolo personale di Schifano. Lo studio della documentazione, oltre che la giusta connessione tra vicenda lavorativa e biografia personale e familiare, trova – alla data del 30 ottobre 1954 – una traccia interessante: la richiesta di un giorno di permesso «per presenziare all’inaugurazione della Mostra d’Arte (in quanto) personalmente interessato». Nella biografia di Schifano, questo elemento è decisivo. Ci permette di anticipare di almeno tre anni l’avvio della sua attività espositiva. Oltre a Gli Etruschi di Mario Schifano, alla selezione di alcune opere appartenenti al ciclo Mater Matuta, alle fotografie dell’esecuzione de La Chimera ed alla documentazione personale presente negli archivi di Villa Giulia è l’uso dei pannelli esplicativi a definire, in cinque tappe fondamentali, la personalissima relazione di Schifano, con la materia archeologica. Il primo, in riferimento all’importante città prima fenicia e poi romana dell’Africa settentrionale, prendendo a prestito il titolo dell’immensa geografia Leptis Magna, io sono nato qui – 20.9.34 – eseguita nel 1984 ed appartenente al ciclo Deserts – sostiene il racconto del lavoro paterno presso la Soprintendenza alle antichità, scavi e monumenti della Tripolitania ed i primi anni dell’infanzia africana (1934 – 1941). Il secondo, invece, “Mario Schifano a Villa Giulia (1951 – 1962)” contestualizza il non breve periodo lavorativo, come restauratore e lucidatore di disegni alle dipendenze del Museo nonché il sorgere di una progressiva insofferenza che, agli inizi del febbraio del 1962, approderà alla formalizzazione delle dimissioni. Segue poi quello dedicato a La Chimera (1985) dove Schifano, per la performance fiorentina che celebra l’anno degli Etruschi, sceglie, a voler rappresentare “il principio cangiante di ogni cosa”, l’immagine della Chimera di Arezzo. Di seguito i pannelli dedicati a Gli Etruschi di Mario Schifano e Mater Matuta. È, in definitiva, con questi cicli pittorici, nel suo personale tentativo di ricerca delle radici della contemporaneità che Schifano in un decennio – l’ultimo Novecento – pur segnato da una nuova concezione mediale del procedimento artistico, con la sua attenzione all’antico, conduce la pittura verso l’orizzonte inquieto del tempo presente che, pur attraversando tutte le sue produzioni a tema archeologico, sarà sempre capace, ogni volta, di evocare l’esordio di Villa Giulia.