Se escludiamo la riproposizione del documentario del 2004 ‘Taliani’ di Giuseppe Giannotti (su Rai Storia) è passato quasi in sordina il cinquantenario del colpo di Stato in Libia compiuto dal colonnello Muamar Gheddafi nel 1969.  Golpe che ha comportato il 21 luglio del 1970 la confisca di tutti i beni dei 20 mila italiani residenti nel Paese. Parliamo di 40 mila ettari di terra, 1700 case, 500 attività commerciali per un totale, rivalutato ai giorni nostri, di circa 3 miliardi di euro. Si è trattato di uno dei momenti più tragici della storia italiana del dopo guerra (avvenuta durante i Governi Mariano Rumor ed Emilio Colombo). Ebbene, dopo mezzo secolo questi italiani ancora non sono stati risarciti integralmente nemmeno dei 200 milioni stanziati nel 2009. All’epoca si temeva di intralciare gli interessi nazionali e la possibilità di sfruttare il petrolio libico. Questo spiega perché non venne percorsa la strada di un arbitrato internazionale. Attualmente si sta invece cercando di evitare di saldare l’ultima quota.  Ad ammettere questo tentativo di inadempienza è lo stesso Ministero dell’economia “che candidamente afferma” come scrive il direttore della rivista Italiani di Libia  Daniele Lombardi “di avere trattenuto 20 dei 200 milioni di euro del 2009 (erogati nell’arco di ben dieci anni), accampando scuse variegate e inattendibili per giustificare tale decisione”. Da registrare che nel frattempo il Comitato di Sicurezza Finanziaria del Ministero dell’Economia e delle Finanze ha iniziato a sbloccare gli asset immobiliari del fondo libico Lafico stimati in 1,1 miliardi di euro (riguardano le partecipazioni in Eni, Fiat, Juventus, ecc.). Per parlare di questa incongruenza, in occasione dell’Assemblea Generale dell’AIRL Onlus (l’Associazione Italiani Rimpatriati dalla Libia) siamo andati ad intervistare la storica e battagliera Presidente Giovanna Ortu (la sua famiglia era proprietaria di un’azienda agricola a Tripoli-Tagiura). 

Presidente è vero che state preparando un grande avvenimento per ricordare i tragici fatti del 1970? Certamente. Oltre a una serie di iniziative per indurre il Ministero dell’Economia e Finanze a redistribuire 20 milioni di euro trattenuti sul nostro stanziamento, stiamo studiando con Filippo Maria Gamberi, Direttore del Muciv (il Museo delle civiltà che raggruppa diversi importanti musei di Roma, tra cui il Museo coloniale Italo-africano ancora in fase di allestimento, ndr.) una serie di iniziative per ricordare nell’ottobre del 2020 il nostro sacrificio di 50 anni fa. Lo scopo di Airl Onlus nei decenni è sempre stato quello di restituire dignità, orgoglio e anche sollievo economico agli italiani costretti a scappare senza niente.

Ma, sinceramente, dopo la guerra perduta vi sentivate sicuri in Libia? Certamente. Un trattato internazionale del 1956 garantiva la nostra permanenza nel Paese, il libero godimento dei beni e la prosecuzione nella previdenza libica dei contributi versati dai nostri lavoratori. Per vent’anni abbiamo vissuto in piena armonia con la popolazione locale e con le altre minoranze.

Come giudica l’impegno dei governi italiani nei confronti di Gheddafi? Nel corso degli anni sono sempre migliorati. Tanto più quando a partire dagli anni cinquanta-sessanta la Libia da paese povero e agricolo è diventato un importante produttore di petrolio. Il problema è nato quando il governo italiano ha deciso di non difenderci ricorrendo all’arbitrato come era previsto dal trattato internazionale. Noi capiamo perfettamente che c’erano sul tavolo questioni di interesse nazionale, penso allo sfruttamento del petrolio, però ci teniamo a ricordare anche che il Governo aveva assunto impegni precisi sul piano degli indennizzi. Impegni che sono stati completamente disattesi per ben dieci anni. Dopo, è vero, abbiamo potuto beneficiare di diverse provvidenze che hanno consentito un minimo di ristoro. Ora veniamo a sapere che sono a rischio 20 milioni rimanenti ma già stanziati.

Cosa è cambiato dopo la caduta di Gheddafi nel 2009? Abbiamo molto sperato nell’affermazione di un sistema democratico in tutto il Paese. Purtroppo la situazione si è evoluta negativamente. Per quanto riguarda l’Italia, si continua a investire in Libia senza considerarci dei partner. Non si intende neanche riconoscere con un’apposita legge la celebrazione rievocativa prevista per il 2020 in occasione del cinquantenario dei tragici avvenimenti. A questo proposito vorrei sottolineare che per fortuna non abbiamo subito tragedie come le foibe che hanno colpito le popolazioni provenienti dall’Istria e dalla Dalmazia. Però, nonostante certi errori dovuti alla guerra o al periodo Graziani, non abbiamo certamente demeritato. Abbiamo costruito moltissimo in Libia, abbiamo aiutato il Paese a diventare uno Stato moderno con importanti strutture produttive e architettoniche. Concludo dicendo che in un periodo in cui si è parlato molto di Prima gli italiani, per quanto ci riguarda saremmo già contenti di non essere considerati italiani dimezzati.

 

Al link seguente il video dell’intervista:

https://www.youtube.com/watch?v=QySB44h6M3I&t=7s