Riportiamo parte dell’articolo di Gerardo Pelosi pubblicato su Il Sole 24 Ore il 22 luglio 2020

 

A ben undici anni dall’ultima legge di indennizzo, la n. 7 del 2009 i profughi dalla Libia ancora attendono di ricevere quasi 20 milioni di euro dei 200 stanziati.

Era l’agosto del ’69 e solo da un mese Armstrong aveva messo per la prima volta il piede sulla Luna. In Libia il vecchio re Idris veniva scalzato da un gruppo di giovani militari guidati da un tenente ventisettenne, Muammar Gheddafi il quale come primo atto si autopromuoveva a colonnello. Sarà poi lui il “dittatore rock”, per dirla con Saviano che sull’odio contro l’ex colonizzatore italiano era riuscito a unire un Paese diviso in tre (Tripolitania, Cirenaica e Fezzan). Con lui tutti i politici della prima e seconda Repubblica da Andreotti a D’Alema, da Prodi a Berlusconi per i 40 anni successivi e fino alla capitolazione del 2011 saranno costretti a trattare.

Saranno quelli i cosiddetti “patti col diavolo” conditi con postille segrete e contratti petroliferi, minacce di invasione di immigrati, missili spiaggiati a Lampedusa e salvataggi inaspettati contro i raid americani nella Sirte. Senza contare i collegamenti mai chiariti in tragici fatti della vita nazionale, da Ustica a Bologna. In un’Italia che sta cominciando a godere i frutti del “boom” economico, il 21 luglio del ‘70, esattamente 50 anni fa, Gheddafi emana un decreto di confisca di tutti i beni degli italiani residenti in Libia. Dovranno lasciare il Paese in oltre 20 mila abbandonando affetti, case, attività, aziende agricole. Torneranno in Italia nei campi profughi quasi come “appestati” o collusi con gli epigoni del colonialismo “fascista”. Solo la determinazione di alcuni di loro, negli anni successivi, riuscirà a restituire in parte dignità e indennizzi economici. Questa sera in un incontro di studio il ministro degli Esteri Luigi Di Maio esprime il suo apprezzamento per il ruolo che quegli italiani ebbero nella crescita del Paese che ancora si affida al ruolo politico diplomatico di Roma per trovare la sua difficile strada di un futuro democratico.

Ortu: mancano ancora all’appello 20 milioni di indennizzi

Giovanna Ortu, presidente e fondatrice dell’Airl ,associazione dei residenti italiani in Libia, da anni prosegue la sua battaglia per ottenere dal Governo italiano un risarcimento adeguato per le famiglie e gli eredi di quelle persone costrette a lasciare la Libia 50 anni fa. «Purtroppo – segnala la Ortu – abbiamo sempre un convitato di pietra che è il Ministero dell’Economia. I pochi soldi stanziati nel tempo per i nostri indennizzi, sono stati quasi del tutto vanificati dalla lentezza della nostra burocrazia con le tragiche conseguenze, non solo per i rimpatriati dalla Libia ma per tutti gli italiani». A ben undici anni dall’ultima legge di indennizzo, la n. 7 del 2009 i profughi dalla Libia ancora attendono di ricevere quasi 20 milioni di euro dei 200 stanziati. Il Ministero dell’Economia ha, infatti, arbitrariamente deciso secondo la Ortu di non distribuire quella somma agli aventi diritto, sordo alle loro diffide e istanze. «E pensare – conclude la presidente dell’AIRL – che gli indennizzi fin qui ricevuti basterebbero a malapena a coprire il montante dei beni perduti nel 1970. Il valore delle proprietà rivalutate ammonterebbe oggi a quasi 6 miliardi di euro».

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