Pubblicato il 31 agosto 2020 su Il Messaggero

«Nella tarda mattinata del I° Settembre 1970, vale a dire cinquant’anni orsono, scesero alla stazione di Rieti, provenienti da Roma via Terni, novantaquattro italiani profughi dalla Libia», ricorda in una nota il sindaco di Rieti, Antonio Cicchetti.

«Erano stati espulsi dal golpista colonnello Gheddafi – che nel 1969 aveva detronizzato il filo-inglese re Idris- dopo anni durante i quali, in piena armonia con tutte le etnie presenti sul territorio ,avevano lavorato sodo mettendo su imprese e strappando, man mano, al deserto aree restituite ad una redditizia coltivazione».

«Si trattava di famiglie, anche numerose, i cui capostipiti erano partiti dall’Abruzzo, dal Molise, dal Veneto, dalla Sicilia, cullando il sogno di una sistemazione economicamente gratificante nella ”quarta sponda” italiana».

«Erano prevalentemente contadini ed artigiani i cui cognomi, in un’epoca di scarsa mobilità interna, denunciavano con chiarezza la zona di provenienza. In Libia avevano trovato, nell’ambito di un progetto di colonizzazione del Governatorato Italiano, appezzamenti di terre già assegnati e case di abitazione completamente arredate».

«Molti di quelli che scesero a Rieti erano figli dei pionieri e non avevano mai messo piede nella madrepatria, anche se parlavano correttamente italiano e coltivavano le memorie trasmesse loro dai genitori. Venivano, in maggioranza, dalla zona agricola di Misurata ma qualche tripolino si trovava mescolato tra di loro».

«A riceverli alla stazione il prefetto Giagu, il Questore Rocco , il Capitano dei Carabinieri D’Addio, dirigenti e funzionari di Questura e Prefettura e una delegazione del Comitato Tricolore, all’uopo costituito, (Rositani, Passarani, Valloni, De Angelis e lo scrivente) che ebbe un ruolo importante nell’assistenza nei mesi successivi».

«Assenti, per motivi mai spiegati, le Autorità politiche cittadine e provinciali. Un primo incidente, rapidamente superato, ci fu con il Capostazione che considerò la presenza delle bandiere nazionali una manifestazione incompatibile con la neutralità del luogo».

«Poi scesero lentamente, a causa dei lunghi e tortuosi procedimenti di identificazione, uomini con barbe incolte, donne scarmigliate e bambini stravolti dal viaggio in mare, dalla permanenza di un giorno a Napoli sulla nave per i controlli sanitari (obbligatori all’epoca!) e dalla sosta notturna in un vagone abbandonato su un binario morto di Roma – Termini».

«Furono destinati in tre alberghi cittadini (“Italia”, ora non più attivo, “ Europa” e “Quattro Stagioni” ) e consumavano i pasti in sede ad eccezione degli ospiti dell’” Europa”per i quali fu convenzionato il ristorante “ Flavio” di Adelmo Renzi».

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