Pubblicato su Italiani di Libia 1-2020

 

Per ogni obiettivo che cerchiamo di raggiungere, c’è un modo giusto. Ma noi in Libia non abbiamo fatto nessuno sforzo perché i nostri sogni diventino realtà. Siamo una nazione che desidera veramente la democrazia, ma rifiutiamo  fermamente di abbandonare la logica di dipendenza dell’individuo dalla propria tribù, insistendo sull’appartenenza parentale e non alla più vasta Patria.

È un’equazione sbagliata e la bilancia è inclinata contro la logica ma abbiamo una diagnosi per ciò che stiamo soffrendo? O una ricetta di un indovino che possa curare la malattia prima che peggiori? O possiamo trovare la medicina prima che la malattia ci annulli?

Noi libici amiamo l’ordine, la pulizia e l’integrità delle strutture pubbliche europee che ammiriamo quando visitiamo il vecchio continente, ma è un amore non indirizzato al matrimonio, perché è un amore visto da lontano, contemplato con speranza ma verso il quale non facciamo mezzo passo. Quando viaggiamo in Paesi con belle case dipinte, scattiamo foto meravigliose di questi luoghi e ci lasciamo ispirare da essi addirittura nella scrittura di versi celebrativi. Eppure noi, con ostinazione ereditaria, ci rifiutiamo di fare lo stesso con le nostre case e i nostri edifici, continuiamo ad insistere fermamente, ad esempio, nel non dipingere i nostri muri con colori vivaci, mentre il grigio del cemento getta un’ombra sulle nostre strade e le riempie di oscurità e sberleffi.

Sogniamo e bramiamo un mondo lontano ma è una brama artefatta, senza ambizione, e con essa muore anche l’ambizione della Libia come nazione. Desideriamo la democrazia, che identifichiamo con la pittura bianca dei muri o con le belle strade d’Europa, tuttavia sappiamo davvero cosa significa amare quel tipo di vita? O è solo la bramosia per una scarpa di lusso, senza un piede da infilarvi dentro? La letteratura da cui abbiamo imparato il nostro concetto di democrazia proviene direttamente dal vocabolario greco e dalle grandi civiltà dell’epoca, civiltà che fecero di Atene il presente del mondo intero. Quell’inizio filosofico, dopo migliaia di anni, ha aperto la strada a un’altra democrazia, nata questa volta nel mezzo del continente europeo. Con il Rinascimento, la nascita dello Stato e la creazione di fabbriche per rifornire di merci il mercato locale e internazionale. l’Europa industriale ha vissuto fino ad oggi un periodo di crescita record.

Noi libici, invece, sogniamo solo: sogniamo le scarpe ma non abbiamo i piedi. Certo, non abbiamo la storia democratica che aveva  l’Europa, non discendiamo dalla stessa cultura, ma per questo non è nostro diritto sognare la democrazia? La risposta è logica, ma è vano desiderare una vera democrazia senza fare alcuno sforzo per stabilire una cultura democratica, senza far nulla per trasformare il nostro sogno in realtà. Ci crogioliamo in esso, finendo solo per fantasticare e rifiutando di svegliarci per non perdere il godimento del sogno stesso.

Questo non significa dimenticare le radici della nostra formazione e voltare le spalle alla cultura che ha prodotto il nostro linguaggio e la nostra società, una Storia lunga 5000 anni. Abbiamo un vissuto totalmente diverso da quello europeo: amiamo le sue strade e la sua democrazia, ma dobbiamo renderci conto che noi in Libia non abbiamo il capitale, la base del lavoro o la piattaforma industriale e nemmeno lo stesso vocabolario di eredità e cultura, ciò che potrebbe spianare la strada alla costruzione di una società diversa, proveniente da un’esperienza lontana.

Se non si supereranno queste difficoltà, dunque, i nostri sogni sono destinati a rimanere come belle scarpe senza piedi.

 

Souad Khalil da Bengasi