Praticare giornalismo è diventato molto complicato in Libia, quasi impossibile. L’avversione nei confronti dei media continua ad aumentare, peggiorando di giorno in giorno. Questo è quello che affermano sia l’annuale World Press Freedom Index, realizzato da Reporter senza frontiere (Rsf), che il Libyan Center for Press Freedom, un gruppo locale che da anni lotta per la libertà di stampa nel paese nordafricano. I giornalisti, e tutti i professionisti collegati al settore, stanno assistendo ad un aumento della censura e dopo la caduta del leader storico, Moammar Gheddafi, devono ancora affrontare minacce alla loro vita.

A distanza di un decennio dalle rivolte che hanno “trasformato” la maggior parte dei pesi del Nord Africa, l’ambiente politico, sociale ed economico in Libia è ancora instabile. Il processo politico avviato sotto l’egida delle Nazioni Unite ha visto l’elezione di un nuovo governo transitorio che dovrà accompagnare il paese alle prossime elezioni del 24 dicembre. Nonostante ciò, i rivali a Est ed Ovest continuano il loro interminabile contrasto per il potere, mentre le milizie armate continuano a controllare gran parte dei centri, aggravando la situazione e destabilizzando il panorama civile e sociale. Ciò ha comportato un pesante tributo per i giornalisti e i media, con tantissimi casi di censura, violenza ed intimidazioni. Secondo Rsf, la Libia si è classificata al 165° posto nel 2021, nella classifica mondiale della libertà di stampa che valuta tale condizione in 180 paesi ogni anno.

Pochi mesi fa, nell’anniversario della rivolta del febbraio 2011, Rsf e due organizzazioni libiche per la libertà di stampa avevano lanciato un appello congiunto alle nuove autorità del paese affinché facessero del loro meglio per garantire la sicurezza dei giornalisti e la loro libertà a svolere la propria professione. In particolare, Rsf, l’Organizzazione libica per i media indipendenti (Lofim) e l’Istituto libico per il giornalismo investigativo (Lifij) hanno sollecitato in più occasioni le autorità libiche a stabilire una legislazione che protegga la libertà dei media e il diritto all’informazione.

La situazione della libertà di stampa in Libia si è aggravata drasticamente dall’inizio della guerra civile nel 2014. Il bilancio degli abusi contro giornalisti e organi del settore da parte di gruppi armati associati ai vari governi è cresciuto costantemente. Negli ultimi anni sono stati registrati molti casi di rapimento, omicidio, arresti arbitrari, sparizione forzata e tortura nei centri di detenzione. Per citarne alcuni, l’arresto del noto giornalista e difensore dei diritti umani Reda Elhadi Fheil el Boum, avvenuto all’aeroporto di Tripoli il 15 dicembre 2019. El Boum è stato oggetto di una grande campagna diffamatoria per oltre tre anni, dalla pubblicazione di un suo rapporto sulla situazione dei diritti umani in Libia, per il quale ha ricevuto anche il premio Media in Cooperation and Transition nel 2017. Nel luglio dello stesso anno, il governo ad interim con sede a Tobruk, nella Libia orientale, ha emesso un’ordinanza ai governi municipali di non cooperare con 11 canali televisivi: l’accusa rivolta era di “giustificare il terrorismo” e “minacciare la pace sociale”. Sempre nel 2019, a gennaio viene ucciso Mohamed Bin Khalifa, un fotoreporter dell’Associated Press. Bin Khalifa stava seguendo gli scontri a Tripoli quando è stato raggiunto da schegge esplosive che gli hanno tolto la vita. Il foto reporter libico aveva lavorato anche in Italia, collaborando alla realizzazione del docufilm sulla storia degli Italiani di Libia “Il mare della nostra storia” di Giovanna Gagliardo (nella foto insieme al fotoreporter), prodotto dall’Istituto Luce. Tra i giornalisti scomparsi anche i tunisini Sofiene Chourabi e Nadhir Ktari, scomparsi nel 2014 nella regione libica di Ajdabiya; ad oggi non ci sono notizie sul loro stato, e nella storica visita del presidente tunisino, Kais Saied, a Tripoli, lo scorso marzo, quest’ultimo ha chiesto ad Abdulhammid Dbeibah, il neopremier del Governo di unità nazionale libico, di intensificare gli sforzi  per scoprire il destino dei due giornalisti. Altri casi nell’ultimo anno hanno visto una milizia allineata al governo di Tripoli rapire un giornalista di al-Wataniya, presumibilmente per aver condiviso informazioni con la fazione orientale. Sarebbe stato torturato e poi rilasciato. Unità allineate al feldmaresciallo Khalifa Haftar hanno appiccato fuoco a una stazione radio a Sirte. Il giornalista Ismail Abuzreiba al-Zwei è stato condannato da un tribunale militare di Bengasi a 15 anni di prigione per la sua affiliazione a un canale televisivo satellitare ritenuto “ostile” agli interessi della fazione orientale. Uno degli ultimi episodi ha visto l’arresto il 20 ottobre scorso a Tripoli di Mohammed Baayou, capo della Media Corporation statale libica, insieme ai suoi due figli e al giornalista Hind Ammar.

Nel rapporto annuale sui diritti umani nel mondo , il Dipartimento di Stato americano descrive  la Libia come un paese in cui le autorità civili hanno solo un controllo nominale della polizia e dell’apparato di sicurezza e quest’ultima ricade generalmente su diversi gruppi armati informali, stipendiati dal governo ed esercitanti funzioni di applicazione della legge  senza formazione o supervisione formale e con vari gradi di responsabilità. Il report continua elencando una serie di violazioni relative ai diritti umani che includono per esempio: uccisioni; tortura; condizioni dure nelle prigioni; arresto e detenzioni arbitrarie. Tra queste anche “gravi restrizioni alle libertà di espressione e alla stampa, compresa la violenza contro i giornalisti e la criminalizzazione dell’espressione politica”. Gli osservatori hanno riferito che le persone si autocensurano nel linguaggio quotidiano. Secondo il report, gruppi armati hanno utilizzato i social media per monitorare e prendere di mira gli oppositori politici, incitare alla violenza e incitare all’odio. I media vengono pressati per servire le varie fazioni in guerra. La violenza è incoraggiata dal fatto che gli abusi restano completamente impuniti. La situazione della sicurezza è così grave che i giornalisti stranieri incontrano grandissime difficoltà a visitare un paese che ancora oggi è uno spazio grigio dove notizie e informazioni non devono uscire fuori dal cerchio. Secondo l’Unsmil, varie testate giornalistiche e stazioni televisive hanno pubblicato appelli alla violenza, diffuso intenzionalmente notizie false e consentito attacchi ad hominem. Il codice penale libico criminalizza una varietà di discorsi politici, compresi i discorsi considerati come “insulti alle autorità costituzionali e popolari” e “insulti pubblicamente al popolo arabo libico”. Altre leggi prevedono anche sanzioni penali per condanne per diffamazione e insulti alla religione. La maggior parte delle segnalazioni ha attribuito la violazione della libertà di parola a intimidazioni, molestie e violenze. Inoltre, viene anche criminalizzato il discorso che vuole “offuscare la reputazione del paese o minare la fiducia in esso all’estero”.

Nel 2011, i manifestanti della Libia chiedevano più diritti e democrazia ma, invece, la libertà di opinione e di espressione e il diritto di manifestare pacificamente continuano a mancare. Nuove leggi sono state adottate dalle autorità post-rivoluzionarie, in alcuni casi aggravando lo stato in vigore precedentemente sotto il governo di Gheddafi. Inoltre, la mancanza di una legge quadro che garantisca il diritto di accesso alle informazioni ha contribuito in maniera non indifferente alla propagazione della corruzione e all’impossibilità per i media di garantire notizie affidabili.

La libertà di informazione è un diritto fondamentale per ogni paese che voglia avviarsi verso un futuro pacifico e democratico. Il programma per svolgere le elezioni nel prossimo dicembre  offre la speranza di una transizione politica che possa risolvere anche i principali problemi riguardanti la società civile libica. L’attuale tentativo di mettere un punto a questi dieci anni di divisioni e conflitti fratricidi  può raggiungere il suo scopo solo se libertà fondamentali, come quelle di espressione e stampa, saranno garantiti e accettate dalle autorità del paese.

 

L’Airl per i media libici

Giornata per media libici

Nel settembre del 2012, l’AIRL, nell’ambito del progetto di media training organizzato dal Ministero degli Affari Esteri e dall’AGI (Agenzia Giornalistica Italiana), ha gestito una giornata per la formazione dei giornalistici libici invitati a Roma per l’occasione. L’intento era non solo quello di avvicinare giovani professionisti libici alla vicenda degli italiani rimpatriati dalla Libia ma anche creare un momento di confronto con una realtà politica diversa – come quella democratica italiana – dal loro paese di origine.