La mossa del premier italiano Draghi contro il turco Erdogan potrebbe essere stato un azzardo calcolato che strizza l’occhio alla politica USA del presidente Biden. Lo sostiene un’analisi di Leonardo Bellodi su Formiche. Nelle relazioni internazionali, si legge, non esistono coincidenze: Draghi si è recato in visita a Tripoli il 6 aprile scorso, stesso giorno in cui è stato pubblicato dal dipartimento di stato americano il rapporto sulla situazione dei diritti umani nel paese, in particolare sulle morti di Tarhuna ad opera della brigata dei fratelli Al Kani. E a pochi giorni dalle esternazioni del nostro premier su Erdogan, definito un dittatore, Joe Biden ha riconosciuto lo sterminio degli armeni da parte turca.

Il protagonismo italiano

La volontà italiana è, naturalmente, quella di collocarsi in buona posizione ai nastri di partenza della ricostruzione libica. In questo contesto il 3 maggio si è tenuto un incontro tra il ministro di stato per l’economia Salam Al-Ghwali e l’ambasciatore italiano in Libia, Giuseppe Buccino. Libia e Italia hanno deciso di riattivare il Comitato economico congiunto libico-italiano, per rivedere gli investimenti libici in Italia e stimolare gli scambi commerciali.
E anche il ministro degli Esteri Di Maio ha ribadito nuovamente, come in altre occasioni, il legame tra italia e Libia. Lo ha fatto nel corso della Ministeriale Esteri e Sviluppo del G7 in svolgimento a Londra, introducendo i temi Libia e Siria.

Lo strapotere turco

Ma lo scacchiere del paese è in continuo mutamento, con la potente ministra degli Esteri El Mangoush che strizza l’occhio in più direzioni, ma in particolare verso Ankara. Non a caso, Dbeibah e la ministra, lo stesso 3 maggio, hanno incontrato una delegazione di altissimo livello composta, come riferisce InsideOver dal ministro della Difesa Hulusi Akar, dal ministro degli Esteri, Mevlut Cavusoglu, dal direttore dei servizi di intelligence turchi, Hakan Fidan e dal capo di Stato maggiore generale, Yasar Guler.
La Turchia rimane dunque l’interlocutore principale della nuova Libia. E non ha la minima intenzione di abdicare al ruolo che si è conquistata aiutando militarmente il governo di Tripoli di Fayez al Serraj a difendersi dall’assedio del generale Haftar (a sua volta spalleggiato da mercenari russi).

20mila mercenari ancora in Libia

Il problema dei combattenti stranieri (inclusi quelli turchi) sul territorio libico è uno dei principali temi da affrontare per la crescita del paese, come afferma l’inviato Onu nel paese, Jan Kubis citato da Gianluca Cicinelli  Il ritiro “servirà molto per ricostruire l’unità e la sovranità della Libia e sanare le profonde ferite causate da molti anni di conflitti interni e interferenze straniere”.
Secondo un rapporto delle Nazioni Unite, infatti, a fine 2020 erano ancora ben 20mila i soldati e i mercenari sul territorio libico. Questo malgrado il Consiglio di Sicurezza abbia chiesto loro di abbandonare il Paese e sia in vigore dal 2011 un embargo sulle armi, costantemente violato.
La nascita del governo di Dbeibah, che ha accontentato molti (non tutti) gli attori in gioco e la prospettiva delle prossime libere elezioni da tenersi il 24 dicembre 2021, sono certamente un passo avanti dopo gli sciagurati anni di guerra civile seguiti all’uccisione di Gheddafi. Ma molto c’è ancora da fare, in una ragnatela di relazioni e interessi nei quali l’Italia deve essere attenta a non finire nella morsa del ragno turco.