Il problema dei migranti provenienti dalla Libia deve essere risolto dall’Europa. Lo sostiene il premier Mario Draghi che con il nuovo governo libico di Dbeibah vanta buoni rapporti, in virtù della visita di Stato del 6 aprile scorso.

Secondo il Messaggero “stime non verificate parlano di 70.000 migranti, provenienti soprattutto da Afghanistan e Siria che intendono arrivare in Europa più che in Italia”.
A Lampedusa si moltiplicano gli sbarchi e la pandemia non aiuta la situazione. Qualche giorno fa il sindaco aveva sottolineato come la campagna vaccinale delle piccole isole per favorire il turismo, a Lampedusa sarebbe risultata completamente inutile, dato l’enorme afflusso di migranti ospitati nei centri di accoglienza.

La guerra del gambero rosso

Altro fronte caldo tra Sicilia e Libia è quello della pesca al gambero rosso. Già si era sfiorata la tragedia con l’attacco subito la settimana scorsa dal peschereccio Aliseo di Mazara del Vallo. In quel frangente il comandante era stato ferito da proiettili sparati ad altezza uomo da parte della guardia costiera libica, su un’imbarcazione tra l’altro donata dall’Italia per monitorare il racket dei migranti.
A pochi giorni di distanza un altro peschereccio italiano è stato speronato e preso a sassate da motopesca turchi (ancora la Turchia). Se non fosse stato per la fregata italiana Margottini, intervenuta a difesa dell’Aliseo e degli altri pescherecci mazaresi attaccati, probabilmente si parlerebbe ora di un nuovo rapimento, come quello dei pescatori italiani avvenuto a settembre scorso. Essi furono liberati sotto Natale con un blitz, foriero di non pochi strascichi polemici, dell’allora presidente del consiglio Conte, accompagnato dal ministro degli Esteri Di Maio. Accettando la legittimazione politica del generale Haftar (in disuso dopo il fallimento dell’assedio di Tripoli) ottennero allora il rilascio dei nostri connazionali.

12 miglia che diventano 62

Ma perché si creano queste situazioni tra i pescherecci italiani e la marineria libica?

Come dimostra anche lo stallo tra Francia e Inghilterra nel Mare del Nord, l’accesso ad acque particolarmente pescose è spesso frutto di attriti di frontiera. Nel caso della Libia c’è un vulnus che si trascina dal 2005. Il giornalista Mauro Indelicato lo spiega in un’intervista a Il Sussidiario di Federico Ferraù. “Tripoli rivendica la propria sovranità fino alle 62 miglia dalla costa, ben oltre le 12 consentite. Tutto parte da quanto stabilito a livello internazionale dalla carta di Montego Bay che regola i confini marittimi. Nel documento si parla di un limite di 12 miglia su cui estendere la propria sovranità, ma il malinteso da cui si origina l’annosa vicenda parte dalla conformazione delle coste libiche. In particolare, le autorità di Tripoli considerano il golfo di Sirte come “baia storica” e dunque il conteggio dei libici non parte dalle coste di Sirte, bensì da una linea immaginaria che congiunge le due estremità del golfo. La Libia “guadagna” così diversi chilometri. A livello internazionale però, l’interpretazione di Tripoli è errata.”
Da Bengasi, dove è ancora forte il potere del generale Haftar, spalleggiato dai mercenari della brigata Wagner, avere a disposizione l’arma di scambio costituita da cittadini occidentali è ad oggi la migliore strategia (se non l’unica) per cercare di recuperare il terreno perduto.

Il tentato rapimento di Najla El Mangoush

A ovest, invece, è la Turchia a voler ribadire il ruolo di primo piano che si è conquistata in Libia. Lo fa alzando la voce con la ministra degli esteri libica El Mangoush vittima, come riporta Lorenzo Cremonesi sul Corriere della Sera, anche di un tentativo di rapimento. E lo fa attaccando i nostri pescherecci, in un eccesso di protagonismo che le timide diplomazie europee non sono riuscite a scalfire. Ci proveranno gli Stati Uniti con l’ambasciatore americano in Libia, Richard Norland, che diventa anche inviato speciale degli Stati Uniti per la Libia.

Il nuovo inviato speciale USA in Libia

Ma a cosa serve una ulteriore carica per un diplomatico già attivo nel territorio? Lo spiega Emanuele Rossi su Formiche. “L’inviato speciale serve a confermare che Washington ha interesse al dossier, seguendo l’esempio dell’Italia – che ha nominato per il ruolo l’ambasciatore Pasquale Ferrara – e della Francia. Con ogni probabilità gli Usa quell’interesse sul dossier lo legano non tanto a ragioni dirette, ma al fatto che percepiscano come il teatro libico sia frutto di potenziali destabilizzazioni.”