Il caos in cui è caduta la Libia dopo la fine dell’era di Muammar Gheddafi ha sicuramente motivazioni riconducibili a interferenze e manovre provenienti dall’esterno. Come paese confinante, l’Egitto è uno degli attori più coinvolti nella risoluzione del problema libico. La politica cairota nei confronti dello stato limitrofo è quindi guidata da molteplici interessi: dalle pressanti preoccupazioni di sicurezza a considerazioni di tipo economico, da obiettivi di carattere ideologico alla lotta contro l’islam politico e i Fratelli musulmani.
Dal 2011 il conflitto che ha attanagliato la Libia è diventato una grave minaccia per la sicurezza dei suoi vicini, Egitto compreso. Il confine tra i due paesi, che si estende per circa 1.150 km, è diventato una questione di sicurezza estremamente complessa per la controparte egiziana, come lo è stato sul versante occidentale per Algeria e Tunisia. I deserti sul lato orientale libico sono stati luogo di numerosi episodi terroristici. Nonostante la presenza di truppe egiziane, mine antiuomo e un severo controllo aereo, il confine rimane un importante centro di contrabbando di armi, droga ed essere umani, compreso il passaggio di estremisti e militanti ostili alle autorità del Cairo. Oltre alla sicurezza, gli interessi economici svolgono un ruolo importante nella politica del Cairo nei confronti dell’ex colonia italiana. La guerra civile libica ha influito negativamente sul commercio bilaterale tra i due paesi, con una riduzione delle esportazioni egiziane in Libia, che è passata da circa 1,2 miliardi di dollari nel 2010 a 440,9 milioni nel 2017, per aumentare nuovamente nel 2019 a 830,7 milioni di dollari. Strettamente connessa all’ambito economico è la speranza del Cairo di vedere garantiti i propri obiettivi energetici nel paese vicino. Nel 2020 l’Egitto accumulava oltre 3 miliardi di dollari di debito con società energetiche estere. La Libia, pertanto, potrebbe consentire un risparmio notevole nelle importazioni di idrocarburi vista la sua ricchezza di petrolio e gas. Il Cairo spera inoltre di avere importanti vantaggi dalla futura ricostruzione del paese vicino: i libici hanno dichiarato più volte la posizione centrale che occuperà l’Egitto in tale settore.
Il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi ha affermato la volontà di voler aiutare il paese vicino e rafforzare la cooperazione bilaterale in qualsiasi settore al fine di migliorare le condizioni economiche e ritrovare stabilità e sicurezza nel paese e nell’intera regione. Durante l’incontro con Abdul Hamid Dbeibah, neo presidente del Governo di unità nazionale (Gnu), al-Sisi ha confermato la centralità della Libia nell’agenda egiziana e la ferma volontà di preservare le relazioni storiche tra i due paesi. Altresì, per il militare egiziano, come dichiarato durante il dialogo con il presidente del Consiglio libico Mohammed al-Manfi, resta fondamentale per raggiungere la pace definitiva la dipartita di tutti i mercenari stranieri presenti sul territorio libico.
Nel mese di aprile, una delegazione egiziana di alto livello, guidata dal primo ministro Mustafa Madbouly, si è recata in Libia come prova del sostegno fornito al nuovo Gnu di Tripoli. La notizia è importante perché negli ultimi anni il Cairo ha tenuto una posizione avversa alla fazione occidentale, supportando invece i rivali di Tripoli guidati da Khalifa Haftar. Secondo quanto è emerso, tra gli accordi firmati, tre riguardano il campo dell’elettricità, mentre altri riguardano il settore tlc e la cooperazione tecnica su infrastrutture e salute. Al centro dei dialoghi anche la cooperazione nel settore della formazione. Egitto e Libia hanno concordato, inoltre, di consentire il prima possibile ai lavoratori egiziani di ritornare nel mercato del lavoro libico. Lo stesso Madbouly ha annunciato la decisione di istituire un comitato ministeriale incaricato di sviluppare le strutture relative al ritorno degli egiziani nell’ex colonia italiana. Prima dello scoppio della “primavera araba”, quasi 2 milioni di egiziani vivevano e lavoravano in Libia, generando rimesse fino a 33 milioni di dollari l’anno.
Il governo egiziano sta valutando, altresì, la possibilità di aumentare le esportazioni di elettricità verso la Libia. Il Cairo, che nell’ultimo periodo si è attestato tra i principali produttori di energia rinnovabile del Nord Africa, è alla ricerca di mercati per il suo eccesso di offerta nel settore. Dal 1998 l’Egitto e la Libia sono collegati da una linea elettrica. Questa linea aggiunge 200 megawatt di potenza alla rete nazionale libica. Il governo egiziano prevede di aumentare la capacità a 450 megawatt. Una scelta che potrebbe sia alleviare l’attuale emergenza libica connessa alla penuria di energia elettrica che gli sforzi di ricostruzione del paese.
Di questo nuovo corso diplomatico fa parte la riapertura dell’ambasciata a Tripoli e di un consolato a Bengasi dopo l’Eid al-Fitr (seconda metà di maggio). Obiettivo comune di entrambi i paesi è anche la ripresa dei voli tra l’aeroporto internazionale del Cairo e gli aeroporti di Mitiga, Misurata e Benina. Di ciò si è discusso nel recente incontro tra il ministro libico dell’Economia e del Commercio, Mohamed Al-Hawij, e l’ambasciatore egiziano in Libia, Mohamed Salim.
Qualche giorno fa il rappresentante permanente della Libia presso le Nazioni Unite, Taher Al-Sunni, ha incontrato il suo omologo egiziano, Muhammad Idris. Al centro del colloquio il sostegno alla Libia nella promozione della pace e della stabilità in questa fase di transizione. Le due parti hanno esaminato le modalità per supportare il Gnu, attraverso organizzazioni e organismi delle Nazioni Unite specializzati nel campo del peacebuilding.
Particolare attenzione merita anche il progetto ideologico egiziano che ha come fine lo sradicamento dell’islam politico dalla regione. L’obiettivo principale è rappresentato dalla lotta contro i Fratelli musulmani, in patria e all’estero, e in tal senso l’Egitto intende ovviamente impedirne l’ascesa all’interno della Libia. Il successo degli islamisti nel paese darebbe forza alla Fratellanza egiziana, che continua a godere di un forte sostegno popolare nonostante le azioni di contrasto messe in atto dal governo. Proprio la lotta all’islam politico è stata la causa che ha portato alla rottura delle relazioni diplomatiche (ma non economiche) con la Turchia, dopo che il governo di Mohamed Morsi, vicino ai Fratelli Musulmani, è stato rovesciato nel 2013. Uno scontro, quella tra Ankara e il Cairo, che si è manifestato anche sul dossier libico durante gli anni della guerra civile. La recente disponibilità del presidente turco Recep Tayyip Erdogan, attore più attivo sul fronte tripolino, a dialogare con l’Egitto – tra i principali sostenitori della fazione orientale durante il conflitto e ora aperto al dialogo anche con il governo di Tripoli – potrebbe forgiare una rinnovata cooperazione tra le potenze regionali e aiutare gli sforzi per permettere una stabilizzazione definitiva dell’ex colonia italiana. Per l’Egitto, una Libia stabile con un governo centrale in grado di proteggere i propri confini e impegnarsi in scambi commerciali proficui con i partner confinanti sembra la soluzione preferibile a lungo termine.
Mario Savina, analista ricercatore, si occupa di Nord Africa e flussi migratori. Sapienza Università di Roma, AIRL Onlus – Italiani di Libia, OSMED – Osservatorio sul Mediterraneo (Istituto “S.Pio V”)