Domani 12 novembre la Francia di Emmanuel Macron ospiterà una Conferenza internazionale sulla Libia, che avrà come focus lo svolgimento delle elezioni programmate per il prossimo 24 dicembre.

Alla Conferenza parteciperanno esponenti di primo livello di tutti i Paesi interessati al dossier libico. Tra questi, la vicepresidente degli Stati Uniti Kamala Harris, la cancelliera tedesca Angela Merkel, il premier italiano Mario Draghi, il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi e il ministro degli esteri russo Sergey Lavrov. Il dubbio rimane sulla presenza di un rappresentante della Turchia – attore chiave e decisivo nel raggiungimento del cessate il fuoco concordato ormai più di un anno fa –, viste le polemiche delle ultime settimane che hanno visto protagonista il presidente Recep Tayyip Erdogan e le sue dichiarazioni: “Non possiamo partecipare a una conferenza di Parigi alla quale partecipano Grecia, Israele e l’amministrazione greco-cipriota”. Parteciperanno anche Tunisia, Niger e Ciad, mentre per l’Algeria, protagonista di una crisi diplomatica con Parigi, saranno presenti alcuni funzionari ma non il presidente Abdelmadjid Tebboune.

L’Eliseo si è sforzato in questi giorni di presentare la Conferenza – co-presieduta da Francia, Germania, Italia, Nazioni Unite e la stessa Libia – come un ennesimo sforzo internazionale per arrivare al traguardo delle elezioni. La preoccupazione condivisa da alcuni Paesi membri è che, se l’Unione Europea continuerà a trascurare la sponda Sud del Mediterraneo, come fatto negli ultimi anni, altri attori proveranno ad imporre la propria agenda sul campo. Lo sforzo è senza dubbio collettivo e inclusivo, ma le aspettative di possibili svolte dopo l’incontro di domani restano alquanto modeste.

Sia il voto presidenziale che le elezioni parlamentari sono il fulcro del piano delle Nazioni Unite per supportare la ricerca della stabilità definitiva nel Paese nordafricano, ma il calendario e l’intero progetto è tutt’oggi messo sotto pressione dalle continue tensioni tra le fazioni rivali. Tensioni che riflettono il precario equilibrio esistente tra le istituzioni e i centri di potere divisi. Quando manca poco più di un mese al 24 dicembre non è stata raggiunta un’intesa sulla legge elettorale, sullo svolgimento nella stessa data o meno delle elezioni presidenziali e parlamentari, e molti sono i dubbi sulla ammissibilità di alcuni candidati, su tutti lo stesso premier in carica Abdulhamid Dbeibah, il generale Khalifa Haftar e il figlio dell’ex leader Saif al-Islam Gheddafi. Oltre alle controversie regionali, rimane sempre aperta la questione dei mercenari e dei militari stranieri presenti sul territorio, nonostante le continue richieste da parte della comunità internazionale di lasciare il paese.

Anche lo stato dei diritti umani nell’ex colonia italiana resta precario. L’Ong Human Rights Watch ha posto alcune domande ai leader che domani saranno presenti in Francia: le autorità libiche attuali possono garantire un ambiente privo di coercizione, discriminazione e intimidazione agli elettori, ai candidati e ai partiti politici? Poiché le regole elettorali potrebbero escludere arbitrariamente potenziali elettori o candidati, come possono le autorità garantire che il voto sia inclusivo? Esiste un solido piano di sicurezza per i seggi elettorali? La magistratura è in grado di affrontare prontamente ed equamente le controversie relative alle elezioni? Gli organizzatori delle elezioni possono garantire che monitor indipendenti abbiano accesso ai seggi elettorali, anche in aree remote? L’Alta Commissione elettorale nazionale ha organizzato un audit esterno indipendente del registro degli elettori? Le prossime settimane ci daranno le risposte a tali quesiti.

La stabilizzazione delle Libia sarà complicata. I grandi problemi strutturali del paese – su tutti, unificazione istituzionale, Carta costituzionale e apparato militare e di sicurezza centralizzato – necessitano di tempo per essere risolti e lo svolgimento delle elezioni potrebbe essere solo un punto di partenza. Visto il presente contesto, troppi sono i dubbi e poche le certezze. Al contempo, tanta è la diffidenza nei confronti dei possibili “risultati” che usciranno domani da Parigi.