Mentre la data delle elezioni si avvicina sempre più, il ruolo delle donne in Libia è sempre in bilico. Il successo delle elezioni potrebbe garantire al genere femminile un ruolo paritario nel plasmare la nuova Libia per la quale hanno tanto lottato durante e dopo la rivolta del 2011 che ha portato alla caduta del leader Moammar Gheddafi. Viceversa, il fallimento del programma delle Nazioni Unite potrebbe rappresentare una sconfitta per i diritti di genere.
Le donne libiche sono state in prima linea durante la rivolta: nella cacciata di Gheddafi hanno visto l’opportunità per porre fine alla discriminazione e all’esclusione subite sotto il governo ultra quarantennale della Guida Suprema e un’occasione per costruire una nuova società con la donna protagonista. Hanno partecipato in numero record alle elezioni del 2012 , le prime elezioni nazionali libere organizzate nel Paese dal 1952, e tanta speranza era stata riposta nella formazione della nuova Costituzione. Tuttavia, con lo scoppio del secondo conflitto civile nel 2014, tutte quelle speranze sono svanite. Oltre ad essere state per l’ennesima volta esposte agli orrori e alle privazioni di una guerra senza sosta, le donne libiche hanno più volte sottolineato come i successivi processi politici abbiano ridotto i loro diritti e messo a tacere le loro voci. Molte attiviste per i diritti delle donne sono diventate bersaglio di violenze politiche e incitamento all’odio. Nonostante ciò, hanno continuato a lottare per la democrazia e i diritti, a volte a costo della vita.
A distanza di 10 anni da quell’ottobre in cui fu catturato e ucciso il qaid, la “Libia donna” oggi ha una grande occasione. Il programma delle Nazioni Unite – che ha come fulcro le elezioni del prossimo 24 dicembre – ha dato nuovamente al genere femminile la chance di avere una voce e di contare nei luoghi dove vengono prese le decisioni per il Paese. Già all’interno del Libyan Political Dialogue Forum (Lpdf), l’organismo composto da 75 membri rappresentativi del popolo libico, quasi il 20% erano donne (17 membri). Il Governo di unità nazionale (Gnu) – eletto a marzo di quest’anno, proprio nell’ambito del Lpdf – comprende cinque ministre, tra cui Najla al-Mangoush, prima ministra degli Affari esteri della storia del Paese nordafricano.
Naturalmente, gli occhi sono tutti puntati verso ciò che accadrà dopo la tornata elettorale. Per molti osservatori ed esperti di diritto, la bozza di Costituzione redatta nel 2017 rappresenta un passo indietro nella lotta per l’uguaglianza di genere: poiché è stata strutturata sulla Sharia nega alle donne alcuni diritti fondamentali. Dall’inizio dell’era post Gheddafi, il ruolo della Sharia ha dominato il discorso politico libico. Durante una manifestazione a Bengasi nell’ottobre del 2011, Mustafa Abdul Jalil, allora capo del Consiglio nazionale di transizione, dichiarò al popolo libico: “Come paese musulmano, abbiamo adottato la Sharia come principale fonte del diritto. Di conseguenza, qualsiasi legge che contraddice i principi islamici è legalmente inefficace.” Il primo articolo della dichiarazione costituzionale del 2011 sanciva l’Islam come religione di Stato e la Sharia come principale fonte legislativa. Molte furono le critiche da parte della comunità internazionale e le pressioni nella formazione di una nuova Libia moderata. Il raggiungimento di un accordo sul ruolo della Sharia nella Costituzione ha richiesto ben tre anni di lavoro da parte del comitato. La prima bozza, emessa nel 2015, venne considerata estremista, visto l‘accento sul fatto che “l’Islam è la religione di Stato, la Sharia è la fonte di diritto, nessuna legge può essere emanata che violi questo, e tutto ciò che la contraddice è da considerarsi nullo”. All’epoca l’acceso dibattito intorno a tale articolo portò a un’ulteriore modifica (2017): “L’Islam è la religione di Stato e la Sharia è una fonte del diritto”. Nell’articolo 195 della bozza, che stabilisce le misure necessarie per modificare la Costituzione, la sezione che sancisce la Sharia come punto di riferimento è stata fortificata contro ogni futura modifica. Per tale motivo quest’ultimo draft ancora oggi è oggetto di forti critiche a causa delle restrizioni sui diritti umani. I decenni di sacrifici del popolo libico richiedono una Costituzione che garantisca uno stato democratico in cui siano rispettati i diritti fondamentali di tutti.
Nonostante gli sforzi più recenti della comunità internazionale, la questione della democrazia e del rispetto dei diritti umani in Libia non è ancora il tema principale sul tavolo. Il Paese maghrebino ha una struttura politica che di fatto oggi non è un vero sistema. È un processo creato ad hoc e mantenuto in vita dal costante impegno dell’Unsmil. Dalle ultime elezioni democratiche non è successo più nulla per sette anni. Anche per questo in Libia gli indicatori solitamente utilizzati per misurare le questioni di genere non possono essere applicati: le circostanze sono completamente diverse. E sicuramente non sono oggi democratiche.
Quindi quale futuro per le donne in Libia? L’avvenire del Paese dipende dal mantenimento della pace. La costruzione della pace è un processo lungo e impegnativo, visti gli ultimi anni di caos, che deve essere radicato a livello locale e nazionale, indipendentemente dal genere e dalle generazioni. I protagonisti di questo processo devono essere i libici, e in particolar modo donne e giovani. Le prossime elezioni sono un’occasione da non perdere – nonostante i dubbi e le critiche – e le autorità libiche – supportate dalla comunità internazionale – devono garantire il corretto svolgimento del voto, con una forte partecipazione delle donne. Solo così la donna potrà effettivamente partecipare alla formazione della nuova Libia. Una Libia in cui i diritti di tutti siano rispettati.
Mario Savina, analista ricercatore, si occupa di Nord Africa e flussi migratori. Sapienza Università di Roma, AIRL Onlus – Italiani di Libia, OSMED – Osservatorio sul Mediterraneo (Istituto “S.Pio V”)