Riproponiamo questo articolo pubblicato su Italiani di Libia n.3/2014 a firma di Giovanna Ortu in ricordo del Conte Diego Prina Ricotti venuto a mancare la sera del 13 dicembre 2021

La storia libica dei Prina Ricotti inizia quando Cesare nei primi anni Venti arriva a Tripoli insieme alla giovane consorte Luisa Cumbo, di nobile famiglia siciliana. I due figli della coppia, Eugenia e Diego, vivono a Tripoli fin dalla tenera età compiendo gli studi universitari a Roma, laurea in Ingegneria per lui, in Architettura per lei. Per Eugenia vivere a contatto con le bellezze archeologiche del paese sarà determinante per la sua formazione professionale e per la sua sensibilità, come ha ben scritto l’indimenticabile Claudio Lanti (sotto lo pseudonimo di Andrea Tripoli) per il nostro giornale (vedi “Italiani d’Africa” n°11/2003 Il Personaggio): “La Signora di Silin, assalita da una passione divorante e misteriosa, già laureata in architettura si trasformò in archeologo quando si trovò a passeggiare tra i resti sconosciuti di un’antica villa romana con uno splendido teatro, scavato nella roccia, quasi a picco sul mare”. “La gioia intensa di rianimare la vita cancellata” perdurerà anche e le ricerche di Silin, “sarà naturalmente spinta ad allargarsi alle meraviglie dell’intera romanità con le sue fantastiche scoperte di Villa Adriana, la Grotta di Sperlonga i recuperi di Pompei, di Castel Porziano e del Laurentum”.

Questa volta però ci vogliamo soffermare sull’eclettica figura dell’ingegner Diego destinato a proseguire in terra di Libia l’opera del padre Cesare e quella del nonno Giulio, iniziata in modo fortuito con un incredibile intreccio di mattanze e amori, tonni e sposalizi, nascite e avventure africane, passioni culturali coltivate come hobby e lauree tecniche da primato in un susseguirsi di eventi, la maggior parte dei quali fortunati, che si perpetua ancora oggi con il capostipite validamente sulla breccia, fino alla più piccola Giulia, pronipote di Eugenia, di soli tre mesi. Il nonno di Diego, Giulio Prina Ricotti, quasi cento anni fa era andato a Livorno per “fare affari” comprando l’intera attrezzatura di una tonnara all’Elba e si era poi diretto verso il sud incontrando in treno quelli che sarebbero divenuti i suoi maestri e i suoi affini: Lucio Salamone e Diego Cumbo. A quell’epoca in Sicilia, o meglio a Milazzo, le principali tonnare appartenevano a queste due famiglie. Il sodalizio da economico imprenditoriale diventerà sentimentale in quanto Cesare, figlio di Giulio, sposa Luisa Cumbo, nobile sì, ma anche esperta tonnarota per tradizione di famiglia. Quando nascono i due bambini, Eugenia e Diego, è già ora di iniziare l’avventura africana consentendo però di far prima conoscere a Diego, ancora poco più che lattante, quella che diventerà la sua futura moglie: Maria Rosaria Salamone che, neanche a dirlo, fa parte del parentado e diventerà anche lei, a dispetto della sua figura fragile e aristocratica, una tonnarota di successo a Tripoli, con l’ausilio della suocera, Donna Luisa, di cui molti di noi ricordano la forte personalità e il costante attivismo fino al rimpatrio sia nella conduzione dell’azienda agricola che nella presenza in tonnara.

Posso parlare dell’Ingegner Ricotti, cui queste pagine sono essenzialmente dedicate, con una familiarità che può sembrare irriverenza solo perché abbiamo fatto tante lotte insieme e l’ho sempre considerato un valido sprone per la sua incisività, la sua perseveranza ed il suo travolgente ottimismo, buon appiglio per me che spesso – ad onta di quanto appare – cado in depressione; non per questo non ho avuto il coraggio di frenare spesso i suoi entusiasmi riportandolo ad una più concreta visione della realtà e del penoso stato della nostra democrazia per il quale più che alla misura dei diritti bisogna guardare alla possibilità di fare un passo alla volta, sempre piccolo naturalmente.

L’Ingegner Ricotti ha ogni volta saputo capire il mio stato d’animo e soprattutto le mie ansie, per lo più connesse al bilancio dell’Associazione così critico specie in passato, da non consentire di assumere, seppure part-time, risorse qualificate né tanto meno di ricorrere a qualche idoneo appoggio esterno professionale. Come avrete visto nella rubrica Voi per l’Airl il suo contributo economico costante è, per il nostro ufficio, una piccola base quale poter contare e per me un enorme sollievo.

Ma torniamo a parlare di lui, prima bambino vivacissimo, che a tre anni si prese il tifo per aver mangiato la sabbia con tanto di cucchiaio d’argento personale e poi, brillante laureato in Ingegneria alla Sapienza di Roma; laurea che – come dicevano i miei ex colleghi ingegneri – consente di affrontare qualunque difficoltà, così come Ricotti dimostrerà in svariate occasioni pur non facendo mai “l’ingegnere”. Dopo la guerra è il momento di formalizzare con le nozze l’incontro avvenuto – come dicevamo – “in culla” con Maria Rosaria Salamone e portare a Tripoli la giovane sposa, prima nella casa di Via Manfredo Camperio e poi nella confortevole villa all’interno della grande azienda di El Maia. Nascono i due figli della coppia, Cesare e Lucio, che faranno una prestigiosa carriera in ambiti diversi. L’azienda agricola, pur essendo un cespite molto importante con i suoi mille ettari trasformati da dune desertiche in rigoglioso agrumeto e oliveto irriguo, esteso vigneto e oltre trecento ettari di bosco, integrata da stalle per il bestiame e da una redditizia cava di pietra, è considerata dai Ricotti con un po’ di distacco rispetto all’attività che unisce uomini e donne in nome di una professione antica e suggestiva: la tonnara. Gradatamente, da quella prima acquisizione ottenuta dal conte Cesare, Diego si espande entrando in compartecipazione in numerose imprese per la pesca del tonno fino ad essere presente in tutte le più importanti realtà del settore. Ne parla con acuta nostalgia ancora oggi raccontando come vivere in barca d’estate e nuotare a lungo nel Mediterraneo siano per lui una boccata di ossigeno senza tuttavia l’irripetibile fascino di poter seguire da vicino le fasi della mattanza.

L’Ingegner Ricotti coltiva ancora un hobby importante: collezionare monete antiche greche e romane, una passione nata quasi per caso in Libia quando aveva cinque/sei anni e dei pescatori trovarono antiche monete che lui pulì accuratamente e successivamente catalogò. Quando lo senti parlare del furto subito nei primi anni Ottanta ti accorgi che per la perdita del “toro di Gela”, dal volto quasi umano, prova lo stesso devastante dispiacere della confisca delle sue proprietà. Ma l’incrollabile ottimismo ritorna: dieci fra le più belle monete sottratte furono ritrovate dal nucleo speciale dei Carabinieri ad un’asta negli Stati Uniti, anche se non si sa perché lui non ne rientrò mai in possesso. “Ma poco importa – commenta – incredibilmente quella brutta vicenda ebbe un esito fortunato in quanto attraverso le indagini avviate dalle forze dell’ordine mi fu possibile ricostruire la storia dei miei antenati, dal sacrificio di Giuseppe Prina fino al titolo nobiliare concesso come risarcimento da Napoleone Bonaparte.