L’Italia da pochi mesi ha colmato il “vuoto” diplomatico nella regione orientale della Libia: il Consolato generale di Bengasi sta riprendendo le attività, nonostante le difficoltà ancora presenti nel paese nordafricano. Il Console Carlo Batori, a cui è stata affidata la sede diplomatica, è nato a Foligno e si è laureato all’Università di Firenze in Scienze politiche; tra i suoi  precedenti incarichi vi sono quello di capo ufficio emergenze umanitarie della Direzione Generale della Cooperazione allo Sviluppo del ministero degli Esteri italiano, di capo segreteria della allora Vice Ministra degli Esteri Emanuela Del Re e di capo ufficio Vicino Oriente della Direzione generale per gli Affari politici e di sicurezza. Al diplomatico umbro, con oltre 25 anni di esperienza alle spalle, spetta l’importante compito di rappresentare il nostro paese in Cirenaica, in questa fase decisiva e delicata della Libia. Le elezioni sono ancora in bilico, nonostante le rassicurazioni da parte del Governo di Tripoli, e l’unificazione istituzionale e sostanziale del paese rimane ancora lontana, benché ci siano stati effettivamente dei passi in avanti sotto diversi punti di vista. Il Console Batori, in questa intervista che ci concede, è convinto che nel futuro libico, per ovvie ragioni, ci sarà spazio per l’Italia e per gli italiani, da sempre vicini al popolo libico. Uno spazio che deve essere colmato non solo economicamente, ma anche su un piano culturale, sociale e soprattutto umano. Per Batori, l’avvenire del Paese dipende dal mantenimento della pace: un processo lungo e impegnativo, visti gli ultimi anni di caos, che deve essere radicato a livello locale e nazionale, indipendentemente dal genere, dalle generazioni e soprattutto dalla regione di provenienza. I protagonisti di questo processo devono essere i libici. Un popolo libico che ha necessità e voglia di ritornare a vivere dopo troppi anni di difficile esistenza, riaprendosi al mondo.

 

Da poco è tornata operativa la sede diplomatica a Bengasi dopo circa otto anni: il 15 gennaio del 2013 era stata chiusa per motivi di sicurezza, pochi giorni dopo l’attentato contro l’allora console Guido De Sanctis. Qual è stata la sua prima sensazione appena arrivato a Bengasi?  Conoscevo Bengasi, essendovi stato per lavoro durante un brevissimo periodo circa 10 anni orsono (proprio quando il collega e predecessore Guido De Sanctis reggeva con grande maestria la sede consolare). Rispetto a quel periodo la città purtroppo presenta oggi delle ampie zone distrutte a causa delle operazioni militari degli anni recenti. Anche la sede storica del nostro Consolato è ahimè severamente danneggiata e il quartiere dove sorge del tutto distrutto. Tuttavia, in alcuni quartieri è cominciata una fervida attività di ricostruzione; nuovi edifici sorgono ogni giorno. La mia impressione è dunque stata positiva, come in ogni luogo dove è forte la volontà di lasciarsi alle spalle il triste passato della guerra, voltando definitivamente pagina. Ovviamente, sono ancora tanti i problemi che affliggono Bengasi e la Cirenaica, e molti di tali problemi sono comuni ad altre parti del Paese. Penso innanzitutto alla carenza delle infrastrutture di base, all’efficacia dell’amministrazione pubblica che ha margini di miglioramento. Di fronte ai problemi vedo grande determinazione e voglia di fare.

Fawzia Ferjani, Chairperson dell’Ass. uomini d’affari libici sez. Bengasi, a sinistra, e il Console Carlo Batori, a destra

 

L’Italia è un tradizionale partner della Libia, le posizioni espresse dall’Italia sono sempre state oggetto di particolare attenzione nell’opinione pubblica libica. Tali posizioni, secondo lei, come sono giudicate dalla popolazione cirenaica? E come viene percepita oggi l’Italia? C’è fiducia o diffidenza nel nostro Paese?  È vero: ciò che l’Italia dice e fa è qui sempre oggetto di attento scrutinio. L’Italia è percepita innanzitutto come un vicino della Libia, non solo per le evidenti ragioni storiche e per la prossimità geografica, ma per una sorta di complicità a livello meta-culturale di cui ho avvertito la presenza in tutti gli strati della popolazione. L’Italia e gli italiani sono percepiti come capaci di comprendere meglio vizi e virtù dei libici, e i libici analogamente ritengono di comprendere meglio noi e il nostro modo di comportarci. Mi sembra di poter dire che qui in Cirenaica verso il nostro Paese vi sia una disposizione generalmente molto positiva, prevale quindi la fiducia e l’interesse genuino a rafforzare la conoscenza reciproca. Questo è ancor più vero nelle giovani generazioni che a differenza delle altre ha avuto meno possibilità di interfacciarsi con il mondo esterno. Cito un fatto: prossimamente effettueremo le selezioni per un posto di impiegato alla prossima sezione visti del consolato; in un solo giorno sono pervenute circa 100 candidature di giovani bengasini!

 

Uno dei grandi problemi della Libia, dopo la caduta di Moammar Gheddafi, è stata la difficoltà a dialogare con un interlocutore unico, vista la molteplicità di attori (tribù, milizie, ecc.) presenti sul territorio. Dal punto di vista diplomatico italiano, come giudica la qualità del dialogo con la controparte libica in Cirenaica?  L’interazione è eccellente, a tutti i livelli e in ogni settore. È vero che gli attori sono molteplici, ma questo per me è una ricchezza e una grande opportunità per migliorare la conoscenza della Cirenaica, un territorio geograficamente immenso, denso di memoria e testimonianze storiche, e con una popolazione composita frutto di correnti migratorie di epoche remote o recentissime. La Cirenaica, come il resto del Paese, è stata attraversata da forti trasformazioni dopo la rivoluzione del 2011. Come sempre accade in questi casi, ciò ha effetti sul piano politico e sociale e genera nuove frammentazioni e nuovi riallineamenti. Io rappresento un Paese, l’Italia, che per le sue caratteristiche intrinseche e per la storia del proprio rapporto con la Libia, è naturalmente incline al dialogo con tutte le componenti della società, della politica e dell’economia libica. Un dialogo senza pregiudizi, senza finzioni e soprattutto sempre all’insegna del rispetto.

 

La Cirenaica è sempre stato il luogo da cui sono partiti i moti di protesta. Pensiamo alla rivolta avviata contro i colonialisti italiani nella prima metà del secolo passato, o alle proteste del 2011, partite da Bengasi e poi diffusesi in tutto il resto del Paese, che hanno avuto come epilogo la caduta del regime gheddafiano. Oggi che aria si respira in questa regione? Aria di apertura al resto del mondo e voglia di “rinascita”, dopo dieci anni persi in conflitti e dispute che hanno solo portato sofferenza e morte, o, viceversa, l’ultradecennale conflitto ha causato una chiusura anche “mentale” dei libici?  Un modo di dire qui molto diffuso recita: “In Libia tutto comincia a Bengasi..”. Gli abitanti di questa città lo ricordano in ogni occasione, rievocando le rivolte contro il potente di turno che sono sempre esplose da queste parti e hanno contribuito a forgiare in modo determinante i destini della Libia. Questo suggerisce più di una riflessione. La prima. I bengasini rivendicano con orgoglio l’importanza e la centralità di Bengasi e della Cirenaica e si sentono parte integrante del proprio Paese. Rispetto a tale ruolo taluni qui lamentano la percepita scarsa attenzione del potere centrale di Tripoli verso le esigenze di sviluppo economico e sociale della propria terra, così duramente colpita negli anni recenti. La seconda. Vi è una forte consapevolezza di sé in ogni cittadino di Bengasi, che ricorda con orgoglio il fatto che Bengasi ospiti importanti istituzioni, prima fra tutti l’università più antica e prestigiosa del Paese in cui si è formata buona parte dell’intellighenzia libica. Ho avuto modo in questi primi mesi in città di stringere amicizia con un buon numero di artisti, attori, giornalisti, attivisti, accademici, sportivi, che testimoniano l’esistenza di una società civile dinamica e ramificata. C’è voglia di tornare ad abbracciare il mondo esterno, viaggiando all’estero e ricominciando ad accogliere visitatori stranieri, che in effetti stanno gradualmente riaffacciandosi in città.

Il Console Carlo Batori visita la Scuola dei Martiri – Progetto IOM, finanziato dal MAECI

 

È risaputa la presenza massiccia degli egiziani in questa parte della Libia, ma anche imprese turche – nonostante il sostegno di Ankara a Tripoli – sono attive nella regione. Inoltre, non bisogna dimenticare la presenza della comunità greca che non ha mai abbandonato il Paese nordafricano. In tutto ciò, che ruolo ha oggi l’Italia (intesa come imprese e collettività) in questa regione? C’è margine di inserimento per gli italiani? Se sì, quali sono i settori economici e commerciali, secondo lei, da sfruttare?  La Libia è un paese ricco di risorse umane e materiali che deve essere ricostruito dopo dieci anni di guerra e instabilità. Ne derivano, in Cirenaica come nelle altre regioni della Libia, importanti potenzialità di affari per le aziende di tutto il mondo, incluse quelle italiane, che già in parte conoscono bene il mercato libico. Si tratta di un mercato che è anch’esso, come il Paese in generale, attraversato da profondi cambiamenti e che merita di essere conosciuto meglio.  In Cirenaica, come per il resto della Libia, il settore più promettente è quello infrastrutturale. Mancano del tutto o sono da riportare in efficienza le infrastrutture legate ai trasporti (strade, aeroporti, porti) e quelle legate all’edilizia abitativa. L’Italia non è un attore secondario. Mi riferisco al progetto per la costruzione dell’autostrada costiera con il primo lotto (da Emsaed ad el Merj) da quasi 1 miliardo di euro assegnato al consorzio guidato da WeBuild. In Cirenaica è molto importante anche il settore petrolifero che schiude possibilità importanti di partenariato con le società libiche dell’oil & gas per le imprese italiane che offrono servizi legati a questo settore. Se il settore delle costruzioni può presentare problemi logistici e di sicurezza che in parte devono ancora essere risolti, le aziende italiane possono sin d’ora puntare su transazioni commerciali per la fornitura di macchinari per l’industria, arredamento anche di alta gamma, considerata l’ottima capacità di spesa dei clienti libici. Il settore della salute, con investimenti privati crescenti e sorprendenti, rappresenta un altro possibile sbocco per le aziende nel settore medicale e farmaceutico. La tecnologia e il design italiani sono molto apprezzati qui in Cirenaica, come ho avuto modo di constatare nelle fiere commerciali che ho visitato. L’auspicata prossima riunificazione delle banche centrali, e quindi il pieno reinserimento delle banche dell’est nel sistema bancario del Paese, è un elemento che può facilitare il riavvio di più intensi flussi commerciali.

 

Nelle scorse settimane è arrivata la notizia di alcuni accordi di progetti da avviare nel Fezzan, grazie al supporto dell’Agenzia di Cooperazione allo Sviluppo italiana e alle competenze di soggetti come il Ciheam di Bari. Su questo argomento l’Ambasciata italiana a Tripoli, guidata dall’Ambasciatore Giuseppe Buccino Grimaldi, è sempre stata attiva: dal supporto alle questioni relative alla penuria di energia elettrica a quelle in ambito sanitario e di contrasto alla pandemia di Covid19. Ci sono progetti che si vogliono avviare nel breve periodo per aiutare i libici in Cirenaica? Di cosa ha bisogno oggi la popolazione? È noto che l’Italia sia stata in questi anni sempre vicina alla Libia per contribuire al superamento della crisi umanitaria che incombe soprattutto sui gruppi svantaggiati, libici e non. È un aiuto concreto prestato direttamente dal nostro Governo o per il tramite delle principali organizzazioni internazionali e organizzazione della società civile. L’aiuto italiano, cui si aggiunge quello dell’Unione Europea, in alcuni casi anch’esso gestito dalla nostra Agenzia per la Cooperazione allo Sviluppo, beneficia rifugiati, migranti, sfollati interni, ma anche giovani, donne e altre categorie in stato di bisogno nelle comunità più direttamente esposte agli effetti di tali crisi. Abbiamo stabilito una importante partnership con decine di municipalità libiche, fra cui le principali città della Cirenaica, per sostenerne le capacità gestionali nella erogazione di essenziali servizi di base per la popolazione. Molteplici progetti umanitari sono in corso e altri ne verranno avviati nel futuro, in molteplici settori: dalla salute, alla raccolta dei rifiuti, dall’assistenza psicosociale a quella educativa. Anche in chiave di sostegno allo sviluppo l’Italia è presente in Libia, nella parte meridionale del Paese, con progetti significativi incluso nel settore energetico. Si tratta di zone desertiche e meno sviluppate dal punto di vista economico sociale, che richiedono un’attenzione e un sostegno particolari. Vi sono zone nella circoscrizione consolare di Bengasi che ricadono all’interno di tale ambito.

Il Console Carlo Batori visita la città di Ajdabyia

 

Infine, ultima questione. Il prossimo 24 dicembre dovrebbero svolgersi le elezioni presidenziale – e successivamente quelle parlamentari. Secondo molti osservatori, i grandi problemi strutturali del Paese – su tutti, unificazione istituzionale, Carta costituzionale e apparato militare e di sicurezza centralizzato – necessitano di tempo per essere risolti e lo svolgimento delle elezioni potrebbe essere solo un punto di partenza, ma comunque importante e necessario. Che aria si respira a Bengasi? C’è fiducia nella tornata elettorale?  Il regolare svolgimento delle tornate elettorali è certamente un traguardo importante del percorso di stabilizzazione politica e securitaria del Paese. Ve ne sono altri, quali la necessaria uscita dei mercenari e delle forze straniere dal territorio libico, l’unificazione sostanziale delle istituzioni statali quali le forze armate, la Banca Centrale, ecc. L’Italia, in stretto coordinamento con i principali attori internazionali e nel pieno rispetto delle pertinenti risoluzioni del Consiglio Di Sicurezza ONU e della roadmap di Berlino, assicura un costante sostegno alla Libia affinché i suoi leader politici compiano passi necessari per svolgere le elezioni parlamentari e presidenziali il 24 dicembre prossimo. Siamo anche rispettosi dell’autonomia e indipendenza delle istituzioni libiche, e della loro facoltà di adottare –nel rispetto della legge- decisioni dirette ad assicurare che le elezioni si svolgano in un quadro di certezza delle regole e imparzialità, incluso nella delicata fase di selezione delle candidature. A Bengasi come nel resto della Libia avverto un grande desiderio dei cittadini di poter contribuire con il proprio voto ad avviare un percorso di stabilizzazione democratica del Paese. Oltre che fiducia nelle elezioni c’è soprattutto grande speranza nella forza della Pace e della riconciliazione, dopo anni di instabilità e conflitto.