Dopo un lungo lavoro preparatorio è partita l’azione giudiziaria promossa dall’AIRL nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) e finalizzata alla integrale corresponsione degli indennizzi previsti dalla Legge n. 7 del 2009.
La storia
Andando a ritroso, la presenza di una comunità italiana in Libia è documentata fin dal lontano 1865. Il cambiamento di regime avvenuto in seguito al colpo di Stato del 1° settembre 1969 e l’ascesa di Gheddafi al potere portarono all’adozione di misure sempre più restrittive nei confronti della collettività italiana, che sfociarono, il 9 luglio 1970, nel celebre “discorso di Misurata”, con il quale Gheddafi affermò che tutti i beni di cui gli italiani si dichiaravano possidenti erano di proprietà libica.
In seguito, il 21 luglio 1970, il Governo libico emanò un decreto che prevedeva la confisca di tutti i beni di proprietà italiana (compresi i contributi assistenziali versati dai cittadini) e vietava qualsiasi movimento di tipo bancario ai residenti italiani, costringendoli, addirittura, ad abbandonare il territorio libico. Tutto ciò avvenne in palese e clamorosa violazione del diritto internazionale e, nello specifico, del trattato italo-libico del 12 ottobre 1956 e delle risoluzioni dell’Assemblea generale dell’ONU, relative alla proclamazione di indipendenza della Libia, che garantivano diritti e interessi delle minoranze residenti nel paese. Per asserite ragioni di opportunità politica ed economica, il Governo italiano non ha mai ritenuto di denunciare queste violazioni, accettando, sostanzialmente, i fatti compiuti. È però evidente come questa amara pagina della storia abbia lasciato una profonda cicatrice in tutta la comunità italo-libica espatriata, la quale fu costretta a ricominciare da zero. Nel corso degli anni, lo Stato italiano con varie leggi ha stabilito in favore dei propri concittadini rimpatriati dalla Libia il diritto a ricevere a titolo di indennizzo somme di denaro a parziale riparazione delle perdite di beni, diritti ed interessi sottoposti a misure limitative dalle autorità libiche (cfr. leggi nn. 1066/1971, 16/1980, 135/1985, 98/1994 e, da ultimo, 7/2009). L’ultimo intervento normativo sul tema si è avuto con la Legge n. 7 del 6 febbraio 2009, che ha previsto un ulteriore indennizzo. Con le disposizioni di legge menzionate lo Stato italiano ha voluto mostrare il proprio interesse verso tutti i rimpatriati, ritenendo, per ragioni solidaristiche, di doversi obbligare verso questi ultimi. A fronte delle buone intenzioni del Legislatore, non ha fatto seguito altrettanta sollecitudine nella liquidazione degli indennizzi. Inspiegabilmente, infatti, nonostante sia trascorso più di un decennio, il procedimento amministrativo non risulta ancora concluso e nessuno si è degnato di dare informazioni precise e certe alla comunità italiana vittima delle vessazioni di cinquanta anni fa.
La vicenda legale
Per questi motivi, tre anni fa l’AIRL ha deciso di intraprendere ogni attività legale necessaria ad ottenere giustizia per tutti i propri associati. Dapprima ha presentato un’istanza di accesso agli atti, richiedendo informazioni in merito allo stato del procedimento relativo alla liquidazione degli indennizzi, nonché in merito all’attestazione circa l’esistenza e l’eventuale ammontare del residuo del Fondo. Il Ministero, in risposta alle richieste di trasparenza, per la prima volta ha reso noto di aver accantonato circa 19 milioni di euro, secondo “un criterio di ragionevole prudenzialità”, nell’eventualità che tali somme siano destinate alla distribuzione conseguente a un ipotetico aumento della base di calcolo. A questo riscontro sono seguite richieste di chiarimenti e integrazioni e una faticosa interlocuzione con il Ministero che ha reso necessaria una formale diffida a procedere al pagamento delle somme residue. Nel maggio 2020, l’avvocato Ernesto Belisario dello Studio Legale E-Lex, per conto di più di 200 associati all’AIRL, ha formalmente diffidato il Ministero al pagamento delle somme dovute. Contestualmente ha intimato l’amministrazione di rendere noto l’attuale stato di consistenza residua del Fondo istituito dalla Legge n. 7/2009 e di consentire l’accesso documentale agli atti dei giudizi attualmente pendenti – mai resi noti – il cui esito incerto secondo il Ministero impedirebbe di procedere alla terza e ultima fase di liquidazione degli indennizzi. Il Ministero si è trincerato sulle medesime posizioni sostenute nel 2018, ancora una volta senza dare evidenza delle ragioni dell’applicazione di quel “criterio di ragionevole prudenzialità” che, a dire dell’Amministrazione, imporrebbe di accantonare oltre 18 dei 200 milioni di euro stanziati dallo Stato per indennizzare gli aventi diritto (ossia, tutto il residuo). Il comportamento del Ministero non ha lasciato altra via se non agire in via giudiziale per ottenere quanto di diritto spetta ai titolari dell’indennizzo previsto dalla Legge n. 7/2009. L’organizzazione dell’azione, promossa dall’AIRL, non è stata semplice per il cospicuo numero di partecipanti (167 in totale) e per la complessità giuridica della vicenda. In molti casi, peraltro, ad agire sono gli eredi dei rimpatriati, che continuano a lottare per il loro diritto ereditato da genitori e parenti purtroppo venuti a mancare durante questa lunga attesa. Proprio in ragione della sofferenza da tutti patita, lo Studio Legale E-Lex ha chiesto, oltre alla generica condanna dell’amministrazione a concludere il procedimento per la liquidazione degli indennizzi, anche un risarcimento per i danni patrimoniali e non patrimoniali legati alla cattiva gestione e alle lungaggini della vicenda.
Giovanna Ortu