Il blocco degli impianti petroliferi ha ridotto drasticamente i livelli di produzione della Libia, colpendo un mercato globale in una fase particolarmente delicata e aggiungendo ulteriori preoccupazioni che lo stallo politico interno possa dare il via a un nuovo conflitto militare. Il ministro del Petrolio del Gnu, Mohamed Aoun, ha affermato che la produzione “è scesa da 1,2 milioni di barili del 2021 ad appena 100 mila barili al giorno” perché “quasi tutte le attività petrolifere e del gas nella regione orientale sono sospese”.

Le chiusure sono apparentemente opera di manifestanti locali che chiedono le dimissioni del premier del Gnu Abdulhamid Dbeibah in favore di Fathi Bashagha (attuale premier del Gns), perché ritenuto più affidabile. Tuttavia, secondo diversi osservatori internazionali, la mano dietro tale attività di sabotaggio è da collegare al feldmaresciallo Khalifa Haftar, sostenitore del Gns e alleato del presidente della Camera dei Rappresentanti, Aguila Saleh.

L’attuale crisi del settore è iniziata lo scorso aprile dopo che il Gnu  ha affermato che la National Oil Corporation aveva trasferito denaro alla Banca centrale per essere utilizzato dal suo ministero delle Finanze. Le fazioni orientali accusano il governo di Tripoli di aver abusato dei fondi statali con l’aiuto dell’istituzione finanziaria. Ad oggi il petrolio può essere esportato solo dalla Noc, che cerca di rimanere politicamente indipendente, con le sue entrate convogliate alla Banca centrale. In base a precedenti accordi, il Gnu ha continuato a pagare gli stipendi statali anche durante il conflitto, compresi i militari di entrambe le parti. Tuttavia, l’Lna viene accusato (da Tripoli) di non aver fornito numeri di identità nazionali per coloro che ricevono gli stipendi e di aver utilizzato le risorse per finanziare operazioni extra o attività di corruzione. Ad oggi un accordo tra le parti pare essere ancora lontano.