L’ultima settimana è stata caratterizzata da una serie di proteste scoppiate in tutta la Libia. I manifestanti sono scesi in piazza in diversi centri del paese, dalla regione orientale a quella occidentale, per dare sfogo alla rabbia accumulata a causa dello stallo politico e delle critiche condizioni di vita in cui versa la popolazione. L’edificio della Camera dei Rappresentanti (HoR) a Tobruk, in Cirenaica, è stata dato alle fiamme e centinaia di manifestanti sono scesi nel centro di Tripoli per denunciare l’aumento dei prezzi dei beni di prima necessità e le attività delle milizie che controllano la città. Tuttavia, le ragioni delle proteste differivano a seconda dell’area in cui si sono svolte. Mentre nella capitale è forte il senso di frustrazione per le questioni relative alla disoccupazione e alla carenza di energia elettrica; a Tobruk, e negli altri centri orientali, i motivi sembrano essere più politici e indirizzati contro l’HoR, il mancato svolgimento della tornata elettorale e la presenza di mercenari stranieri.

Il malcontento dei manifestanti è dilagato dopo l’ennesimo fallimento dei colloqui tra HoR e Alto Consiglio di Stato (Hcs) – durante l’incontro organizzato da Stephanie Williams (Onu) a Ginevra – per raggiungere un compromesso sul quadro costituzionale che dovrebbe consentire lo svolgimento delle elezioni il prima possibile. Non sono bastate 72 ore ad Aguila Saleh, presidente dell’HoR, e a Khaled al-Mishri, capo dell’Hcs, per risolvere la disputa che oggi blocca di fatto il processo politico avviato sotto le egida delle Nazioni Unite. Quando sembrava essere arrivato un via libera sugli emendamenti al documento costituzionale, il colloquio si sarebbe arenato su un punto particolare: la rimozione, richiesta dall’HoR, dell’articolo relativo al divieto di potersi candidare per quei libici in possesso di doppia cittadinanza.

Allo stallo politico si aggiunge la grave crisi causata dal blocco nel settore energetico. Le proteste nella capitale Tripoli avevano, tra le altre cose, come oggetto le continue interruzioni di energia elettrica. Mustafa Sanallah, a capo della National Oil Corporation (Noc), ha dichiarato nei giorni scorsi come la condizione del settore sia molto grave. Il funzionamento degli impianti industriali, inclusi quelli elettrici, è legato alla produzione di petrolio, che oggi vede un continuo blocco nei principali giacimenti. Blocco avviato da fazioni che cercano di rovesciare il Governo di unità nazionale (Gnu), riconosciuto a livello internazionale e guidato da Abdulhamid Dbeibah, e permettere l’insediamento del Governo di stabilità nazionale (Gns) di Fathi Bashagha.

Come se non bastasse, il deterioramento della sicurezza e la mancanza di progressi sostanziali per quanto riguarda una riforma del settore aggiungono ulteriori difficoltà ad una situazione già in bilico. La competizione per il controllo territoriale tra le milizie continua a minacciare il cessate il fuoco raggiunto tra le parti. Negli ultimi mesi, alcune controversie tra le brigate affiliate all’Esercito nazionale libico (Lna) di Khalifa Haftar e le forze che sostengono il Gnu si sono intensificate. Questa tensione è culminata a maggio quando Bashagha è entrato a Tripoli per insediare il suo governo, provocando scontri con gruppi armati fedeli al governo di Dbeibah. Tali incidenti potrebbero facilmente ripetersi e portare al riaccendersi del conflitto. Al contempo, la Commissione militare mista 5+5 ha ripreso i colloqui lo scorso mese a Tunisi, dopo un periodo di sospensione. Ma anche qui, il discorso tra i due fronti rimane sommario a causa della mancanza di una visione comune su questioni come la riforma del settore della sicurezza, il disarmo e la smobilitazione delle milizie, oltre alla mancanza di attenzione politica sulla questione.

Infine, la posizione delle Nazioni Unite e dalla sua missione in Libia (Unsmil). Quest’ultima – il cui mandato è in scadenza il prossimo 31 luglio – si trova chiaramente in difficoltà nell’attuare il suo programma nel paese maghrebino. Le posizioni contrastanti degli Stati membri dell’ONU, in particolar modo di quelli presenti nel Consiglio di sicurezza, creano non pochi grattacapi alle attività dei diplomatici onusiani. Gli interessi degli attori stranieri continuano ad avere un peso notevole sulla politica e sulle dinamiche di conflitto in Libia e per tale motivo un’azione condivisa è necessaria per la risoluzione della crisi. A ciò si aggiunge la fondamentale attenzione internazionale da dedicare alla questione libica, in particolar modo dopo lo scoppio del conflitto tra Russia e Ucraina.

La situazione in Libia rimane complessa e gli esiti del processo in corso restano incerti. L’energia delle proteste popolari, caratteristica fino ad oggi mancata all’azione delle Nazioni Unite e a quella di alcuni paesi occidentali, offre l’opportunità di neutralizzare ed estromettere gli attori (anche stranieri) che minano il processo politico. Sono ancora troppe le questioni aperte e le limitazione che non permettono un avanzamento verso una stabilizzazione definitiva, tra cui la mancanza di un impegno significativo da parte delle élite politica con la società civile, la presenza “attiva” di troppi attori stranieri a tutela dei propri interessi, un’attenzione calibrata troppo sul breve periodo piuttosto che alla risoluzione dei problemi strutturali che necessitano invece una programmazione su lungo periodo e, infine, la totale assenza di un approccio basato sul diritto.