A distanza di dieci anni in molti si chiedono come sarebbe stata oggi la Libia se Moammar Gheddafi non fosse stato deposto in quel lontano 2011. Era inevitabile la sua caduta? Gheddafi sarebbe stato estromesso ugualmente senza il movimento delle Primavere e l’intervento militare della Nato? Al contempo, altro quesito cruciale per capire meglio il dossier libico è: come ha fatto la Guida Suprema a mantenere il potere così a lungo (42 anni)?

A queste domande tenta di rispondere Leonardo Palma nel suo libro Gheddafi. Ascesa e caduta del ra‘is libico (edito da Historica). Il volume suddiviso in sette capitoli traccia quella che è stata l’ascesa al potere de leader libico, cercando di porre gli uomini e gli eventi in connessione con il loro più ampio contesto, ancorando la ricerca allo studio delle carte, della letteratura e delle testimonianze. Nel primo capitolo Palma fa un quadro generale – necessario per permettere al lettore di inquadrare il momento delle relazioni internazionali – di quello che era il contesto politico del Medio Oriente e del Mediterraneo dall’inizio della Guerra Fredda alla Rivoluzione iraniana del 1979. Il secondo e il terzo capitolo seguono più da vicino le vicende della Libia contemporanea. In questa parte del volume diventa centrale le figura di Gheddafi. In una chiave particolare rispetto alle opere già esistenti, l’autore analizza il quadro sociale e culturale della formazione del qaid, cogliendo a piene mani dal lavoro di eccezionali studiosi del mondo arabo e delle culture beduine come Amal Obeidi, Mark Allen, John Davis e Jason Pack. Un governo, quello del Colonnello, che ha attraversato fasi diverse: dalla febbre rivoluzionaria che sostenne l’utopia libertaria del Leader, la Jamahiriya (lo Stato delle mass), ad una distopia dove l’arbitrio regnava sulla libertà delle persone. In quegli anni, è cosa nota, lo scontro aperto con l’Occidente e con gli Stati Uniti rese Gheddafi il nemico numero uno e il male da estirpare.

L’autore si concentra successivamente sul percorso che ha portato l’ex colonia italiana a riallacciare rapporti con la comunità internazionale e alla parziale riabilitazione del leader libico. In particolar modo, risulta interessante la ricostruzione storica del programma nucleare libico, le motivazioni che lo resero possibile e quelle che ne causarono il fallimento. Infine, l’ultima parte del saggio racconta la caduta del Colonnello e il conseguente disfacimento del Paese e di quell’ordine politico che in Medio Oriente durava da quasi vent’anni; uno sconvolgimento che Palma ritiene derivare da una più profonda, e più antica, crisi del potere legittimo degli Stati arabi. Il volume è arricchito dall’uso di inedite fonti d’archivio e da interviste ai protagonisti delle vicende raccontate. Tra questi il generale inglese Rob Weighill, comandante delle operazioni congiunte della Nato; Franco Frattini, più volte ministro degli Esteri italiano; Sir Mark Allen, diplomatico del Foreign Office di Sua Maestà che nel 2003 condusse i colloqui segreti che portarono al disarmo della Libia; Giampiero Massolo, già Segretario Generale della Farnesina nei governi Berlusconi e successivamente direttore del DIS, e Lord Peter Ricketts, Consigliere per la Sicurezza Nazionale dell’ex premier britannico David Cameron. Pregio del libro è quello di mettere in discussione le più comuni ricostruzioni sulla caduta di Gheddafi a partire proprio dal ruolo delle potenze occidentali (inclusa l’Italia, che non fu una comparsa coatta ma un protagonista) e dei Paesi arabi, fino alla convinzione che la Libia sotto il Colonnello fosse stabile e sicura.